Guai all’orizzonte per il sistema portuale italiano.La direzione generale della Commissione Europea deputata a vigilare sul rispetto delle regole comunitarie in tema di concorrenza e libero mercato, ha aperto un’indagine sul sistema portuale italiano. Ma dove nasce il problema e sopratutto perché il sistema portuale italiano ha suscitato l’attenzione della commissione? Semplice. Per la commissione interessata il fatto che le Autorità di Sistema Portuale non paghino tasse allo stato italiano rappresenta un un potenziale aiuto del governo. Fatto chiaramente non accettabile da Bruxelles, in quanto gli altri paesi membri agiscono diversamente. Guai allora per il sistema dei porti italiani. Una disparità, causerebbe, infatti, un eventuale richiamo al Belpaese. Con conseguenze disastrose per l’economia. Secondo alcuni osservatori l’adeguamento alle norme europee sarà l’inizio di un’inesorabile trasformazione dell’economia marittima italiana verso porti commerciali gestiti da società private a partecipazione pubblica, come sono quelli della cintura industrializzata del Nord Europa (Le Havre, Anversa, Rotterdam, Amburgo).

I porti che si affacciano nel Mediterraneo, invece, tendono ad essere controllati dagli stati; eccetto il porto del Pireo, unico caso al mondo di scalo privatizzato e letteralmente venduto nel 2016 dalla Grecia a Cosco, il più grosso gruppo armatoriale controllato dalla Cina. Il rischio è che una volta trasformati in società private, seppur a partecipazione pubblica, i porti italiani più in difficoltà potrebbero attirare capitali stranieri per ottenere liquidità, "svendendo" proprietà peraltro particolarmente strategiche per lo Stato. Eppure, obiettano i più favorevoli, Fincantieri e le Ferrovie dello Stato sono aziende a tutti gli effetti, sebbene controllate dallo Stato, e non sembra che abbiano "svenduto" alcunché. La transizione sarà sicuramente più semplice per i porti del Nord Europa, che sono già delle aziende pubbliche e funzionano soprattutto da porta d’accesso delle merci provenienti da Oriente. Lo stesso non si può dire dei porti mediterranei, che funzionano diversamente.

Il timore di alcuni presidenti dei porti italiani è che aderire alle richieste della Commissione Europea significhi non capire le peculiarità dell’Italia, che ha un altro mercato rispetto a quello del Mar Baltico. Nei prossimi mesi il governo italiano potrebbe spingere per una linea "meridionalista", spiegando a Vestager che i porti italiani competono con i porti del Nord Africa e della Spagna per accaparrarsi il traffico che viene dal canale di Suez, e che il loro compito è soprattutto fare "rimbalzare" le merci quando fanno trasbordo, oppure servire mercati vicini ma extraterritoriali come l’Africa e il Medio Oriente. Al contrario, i porti del Nord Europa hanno una vocazione commerciale più spiccata perché sono strettamente legati al commercio nell’entroterra. In altre parole: mentre i porti del Nord sono parte di un sistema di trasporti prettamente commerciale, tanto che sono gestiti da vere e proprie aziende, quelli del Mediterraneo sono più simili a isole – schiacciati come sono dall’urbanizzazione storica delle loro città – e funzionano più come una base di appoggio, come i porti dell’antichità.

Intanto la Commissione procede con la sua linea dura e determinata contro l’Italia. La decisione di avviare un indagine approfondita è stata comunicata dagli organi competenti dell’UE nelle scorse settimane, ed è di fatto l’ultimo passaggio di una procedura più lunga e complessa, iniziata formalmente lo scorso gennaio 2019. I primi contatti sul tema tra Bruxelles e Roma, però, risalgono ad aprile 2018. La direzione europea che opera in materia di concorrenza aveva chiesto al Governo italiano di intervenire per modificare l’attuale assetto delle authority. Richiesta però mai soddisfatta da Roma, convinta dell’infondatezza della tesi della Commissione. Roma, infatti si oppone fortemente al concetto di tassazione portuale. Ritenendo nei fatto una tassazione dello stato allo stato. Fatto non concepibile e antieconomico. La commissione, guidata da Margrethe Vestager resta però ferma sulla contestazione al Belpaese e procede con un indagine più approfondita. Nel suo recente comunicato, datato 15 novembre, l’organo UE annuncia, infatti, di aver "aperto un’indagine approfondita per verificare se l’esenzione fiscale garantita dalla legge italiana ai porti sia in linea con il regolamento europeo in tema di aiuti di Stato". Nella stessa nota, la Commissione aggiunge di "accogliere favorevolmente la decisione della Spagna di abolire l’esenzione fiscale di cui beneficiavano i porti spagnoli a partire dal 2020, provvedimento che consente alla Commissione di chiudere la procedura relativa alla Spagna".

Quella nei confronti dell’Italia, invece, si è appena aperta e si basa sulla convinzione di Bruxelles che gli enti di governo dei porti comunitari svolgano tipicamente due categorie di attività, quelle non economiche, controllo del traffico marittimo, sicurezza, sorveglianza anti-inquinamento, ecc…, che non devono essere tassate e che quindi restano escluse dall’attenzione della commissione, e quelle di carattere prettamente economico-commerciale, come far pagare per l’accesso al porto, riscuotere i canoni delle concessioni demaniali, ecc.., che invece generano un profitto e che quindi, secondo la Commissione, devono essere tassate per non dar luogo a distorsioni di mercato tra un Paese membro e un altro. Situazione abbastanza complessa dove chiaramente le due parti interessate si fanno una opposizione ferma. Bruxelles ha dunque invitato i Governi di Spagna e Italia ad adeguare i rispettivi sistemi, entrambi basati su una completa esenzione fiscale per le port authority. E se Madrid ha risposto positivamente, predisponendo una modifica del regime di tassazione degli scali che entrerà in vigore il prossimo anno, Roma ha invece sempre opposto un netto rifiuto, motivato dalla convinzione che, nel Balpaese, le autorità portuali siano enti pubblici non economici, diretta emanazione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e quindi organo periferico della Stato. Motivo per cui sarebbe illogico, oltre che dannoso alla loro attività, sottoporle ad una tassazione. Sarebbe come se lo Stato tassasse se stesso.

In realtà Italia e Spagna non sono gli unici paesi a cui la Commissione ha chiesto qualcosa, e sembra difficile che possano avanzare delle pretese particolari. Tre anni fa l’invito a cambiare regime fiscale portuale era toccato a Belgio e Francia, il primo per tutta una serie di sgravi e vantaggi tributari che garantiva ai propri porti, il secondo per il suo generale regime defiscalizzato, simile all’Italia. La Germania, che ha un solo grosso porto principale, Amburgo, ha creato da pochi anni – su esortazione della Commissione – un meccanismo di finanziamento portuale più trasparente che separa le attività di competenza pubblica dalle attività economiche, andando incontro a una esplicita richiesta della Commissione che chiedeva una divisione netta fra il reparto amministrativo-portuale e quello commerciale. Il rifiuto dell’Italia di adeguare il proprio sistema portuale ai desiderata europei, ha avviato la procedura dell’indagine approfondita, un passaggio formale il cui esito non è scontato, anche se le posizioni di partenza della Commissione sono note, ed è quindi difficile immaginare che nel corso dell’indagine Bruxelles possa cambiare idea.

Anche se l’esenzione fiscale delle AdSP dovesse essere riconosciuta come un aiuto di Stato contrario alla normativa europea, precisa nella sua nota la direzione generale guidata dal Commissario Margrethe Vestager, la Commissione potrebbe imporre all’Italia di intervenire sullo ‘status quo’ (pena una procedura d’infrazione), ma non potrebbe pretendere alcuna restituzione dell’aiuto giudicato illegittimo (come avviene invece in altri casi), in quanto si tratterebbe di un "existing aid", ovvero di una situazione preesistente all’ingresso dell’Italia nell’Unione Europea. Un nodo da sciogliere per il governo italiano. Situazione che certamente sara oggetto di polemiche e fiere prese di posizione. Staremo a vedere, quale posizione prevarrà.

Margareth Porpiglia