Credo averlo giá detto: nelle attuali circostanze, la prima cosa che mi viene in mente é il mito di Icaro, cosí come me lo insegnarono a scuola. Ricordate? Dedalo era un geniale inventore ateniese che costruì per il re Minosse il Labirinto, in cui venne rinchiuso il mostruoso Minotauro. In seguito anche Dedalo fu imprigionato con il figlio Icaro nel terribile labirinto, forse per evitare che rivelasse il segreto della complicata costruzione.

Dedalo costruí allora delle ali di piume unite con la cera e con il figlio volò via dal Labirinto. Ma, Icaro, imprudente, si avvicinò troppo al sole che sciolse la cera delle ali e così il giovane precipitò in mare, dove annegò. Il mito di Icaro sta a segnalare la dimensione finita dell’uomo: Icaro precipita in mare, perché non é consapevole di suoi limiti. La sua ingenua e giovanile arroganza lo porta a sfidare la natura, ma la natura é piú forte e il sole scioglie la cera, debole collante delle sue ali.

Perché ricordo il mito? Perché ancora una volta la saggezza antica mi aiuta a capire molte cose. Come Icaro, il coronavirus ha sciolto quelle ali con cui pretendevamo avvicinarci alla onnipotenza della natura. Solo pochi mesi fa parlavamo delle trasformazioni del lavoro a partire da straordinarie innovazioni tecnologiche; immaginavamo schiere di robots che sostituivano i dipendenti in fabbrica; l’intelligenza artificiale sarebbe stata la nostra compagna di strada. Fin qui, tutto bene. Ma intorno a queste straordinarie trasformazioni, abbiamo iniziato a costruire una realtá dove tutto é diventato espressione dell’eccesso.

Viaggi, enormi navi da crociera, business class in aereo; abbigliamenti e borse di altissimo costo; automobili definite di "alta gamma" sono stati nel secolo XXI il simbolo del successo. E il successo oggi é tutto: piú della etica, piú della saggezza o la cultura. La pubblicitá sui giornali e alla televisione ci segnala che il lusso é il principale simbolo della felicitá. Giocatori di calcio valutati a suon di miliardi occupano il posto che un secolo fa era riservato ai grandi politici, pensatori, uomini di azione. Il denaro si trasforma nel valore "principe" della nostra societá, perché - come dice Umberto Galimberti - "nel deserto dei valori, l’unico generatore simbolico di tutti i valori nella nostra cultura si chiama denaro".

L’Italia intera festeggiava solo due mesi fa (dal 4 all’8 febbraio) le banalitá del 70° Festival della Canzone di Sanremo, costato alla RAI ben 18 milioni di euro: 800 le persona impiegate, di cui 634 gli interni RAI e 200 y collaboratori esterni. Mentra Amedeus e Fiorello scherzavano scioccamente sullo scenario, si confermavano i primi casi di coronavirus COVID-19, introdotti in Italia da due turisti cinesi. Oggi, due mesi dopo, il Paese (con 22.000 morti) e il mondo non sanno quale sará il futuro di questa societá spinta all’eccesso da un consumo senza limiti.

Come scrive Giorgio Triani, viviamo la societá del troppo: "Nella societá attuale dell’eccesso, il troppo è diventato normale e il senso della misura e dei limiti qualcosa di arcaico. Questo tipo formazione sociale ormai strutturato come un sistema vero e proprio rappresenta la fase (iper)matura della società dei consumi, caratterizzata, per un verso, da una continua, generalizzata e velocissima crescita quantitativa, che coinvolge le merci, i mercati e le persone, e per l’altro dal venire meno, quasi esaurirsi, delle tradizionali categorie di riferimento della nostre esistenze materiali e relazionali".

La pandemia ci ammonisce: come nel mito di Icaro, la nostra ascesa si scontra contro una realtá mutevole imposta dalla natura. Un microvirus ci dice che abbiamo osato troppo e sconvolge le strutture stesse della nostra societá. Uno studente mi chiedeva ieri in un incontro via "Zoom" come sará il giorno dopo. Ho risposto che in primo luogo nessuno di noi puó vaticinare la data del "giorno dopo", anche perché i virus sono piú intelligenti di noi e una volta trovato il vaccino, mutano e si ripresentano pieni di energie. Ma comunque sia, ritengo che "il giorno dopo" dovremo ricominciare dal basso, dimenticando quella societá dell’eccesso e dell’effimero che avevamo arrogantemente costruito.

Qualcuno puó pensare che il mio messaggio é pessimista. Tutt’altro: credo proprio che la nostra societá globale era giunta ad un punto, in cui era necessario che si desse una "riregolata", per tornare a una vita piú naturale, piú tranquilla, piú consona con la nostra condizione umana. Lo ha addetto addirittura Giorgi Armani, che non é certo l’uomo di pensiero che io seguo: "Questa crisi é una meravigliosa opportunitá per rallentare tutto, per riallineare tutto, per disegnare un orizzonte piú autentico e vero". Bravo Giorgi, in questa circostanza penso come te. Solo spero che nel "dopo-pandemia" potró comprarmi una tua maglietta a un prezzo ragionevole.

JUAN RASO