Con un risultato che ha smentito tutti i pronostici della vigilia, i sette milioni e trecentomila elettori boliviani hanno eletto ieri al primo turno il loro nuovo presidente che rimarrà in carica fino al 2025, quando il Paese festeggerà i suoi duecento anni di indipendenza. Mentre i risultati ufficiali saranno noti solo nei prossimi giorni, due exit poll dell’istituto Ciesmori e della Fondazione Jubileo assegnano una netta vittoria al candidato del Movimiento al Socialismo Luis Arce, già ministro dell’economia di Evo Morales. Più tecnocrate che politico, Arce ha studiato economia all’Universidad Mayor de San Andrés di La Paz, e ha un master presso l’università britannica di Warwick. Nel suo curriculum vanta diciotto anni di lavoro presso il Banco Central, mentre con il suo incarico di ministro dell’economia durante quasi tutto il periodo di Morales ha saputo elevare il prodotto interno lordo della Bolivia da nove miliardi e mezzo di dollari annui, ai quaranta miliardi e ottocento milioni, riducendo nel contempo la povertà dal 60 al 37 per cento, grazie ai prezzi alti delle materie prime di cui il Paese è un grande esportatore.

Suo vice sarà David Choquehuanca, ex ministro degli esteri di Morales dal quale nell’ultimo periodo si era un po’ allontanato, decidendo di lasciare gli incarichi governativi per dedicarsi al MAS. Di origine aymara, ha di sicuro motivato il voto degli elettori indigeni. Per quanto i due exit poll abbiano un margine di errore, le percentuali che entrambi assegnano a Luis Arce, dato per vincente con circa il 53 per cento sul suo diretto avversario Carlos Mesa, fermo al 31 per cento, non lasciano dubbi sull’esito della tornata elettorale. Anche nel caso in cui il conteggio reale dei voti lo portasse al di sotto della soglia del 50 per cento, Arce vincerebbe per la legge boliviana avendo di sicuro ottenuto almeno più del 40 per cento del voto e una differenza percentuale del 10 per cento in più sul suo avversario. Oltre al presidente della repubblica, si è votato anche per il rinnovo dei 166 seggi dell’assemblea legislativa la cui maggioranza va al MAS, riproponendo inaspettatamente lo scenario delle elezioni del 2005, quando a nessun candidato veniva data dai sondaggi la maggioranza assoluta, e le urne diedero invece il 54 per cento dei voti a Evo Morales, il cui risultato previsto non andava al di là del 37 per cento.

Non a caso, la prima a congratularsi con Luis Arce è stata Jeanine Áñez, la presidente provvisoria che aveva sostituito Morales quando questi, sulla spinta delle manifestazioni popolari e perso l’appoggio delle forze armate, aveva lasciato il Paese per rifugiarsi prima in Messico e poi a Buenos Aires, da dove ha coordinato la campagna elettorale del MAS. Alla notizia dei risultati, uscita poco dopo la mezzanotte boliviana, sostenitori del MAS hanno festeggiato lanciando petardi a La Paz mentre a Cochabamba si sono formati cortei di automobili e motociclette. "Abbiamo recuperato la democrazia, e abbiamo, soprattutto, recuperato la speranza", ha affermato il neo eletto presidente, assicurando che governerà per tutti i boliviani e che darà vita a un governo di unità nazionale. Nonostante la grande divisione vissuta dal Paese, la giornata elettorale non aveva registrato particolari incidenti, sotto l’occhio vigile degli osservatori internazionali giunti in Bolivia dopo le accuse di brogli che avevano avvelenato le elezioni precedenti.

Se il risultato delle urne pare non lasciare adito a dubbi, resta da vedere quale sarà ora il rapporto del tecnocrate Arce con Evo Morales. L’aver evitato ogni accenno autocritico sul passato, il non aver mai espresso la minima critica nei confronti della corruzione e degli errori commessi da Evo, e la volontà di continuare sulla strada del cambiamento aperta dal suo predecessore, pare cozzare con la volontà espressa di riunire un Paese profondamente radicalizzato e diviso. Probabilmente Arce conta anche un poco sulla sua figura che, contrariamente a quella di Evo, non suscita il rifiuto immediato di molti boliviani. Non a caso negli ultimi giorni della campagna, erano giunti messaggi rassicuranti agli elettori. Tra questi anche quello riguardante la stampa, definita da Evo nemica. Un’affermazione da cui Arce aveva subito preso le distanze, pur senza criticare chi l’aveva fatta. Una volta chiariti i rapporti di forza nel Paese, resta da vedere se vorrà essere lui a governare, o se deciderà di lasciare ancora spazio a Morales, che la giustizia boliviana sta indagando per i gravi reati di cui si sarebbe macchiato, dall’incitamento alla sedizione, allo stupro per i suoi rapporti con minorenni. Anche in questa vicenda Luis Arce può far appello alla recente storia latinoamericana, scegliendo tra quel che il colombiano Juan Manuel Santos è stato per Alvaro Uribe, e Lenin Moreno per l’ecuadoriano Rafael Correa, che da suo vicepresidente e successore si è trasformato in acerrimo nemico.

CLAUDIO MADRICARDO