Un archivio delle stragi naziste: nasce alla Spezia dove si sono svolti i processi che hanno riportato alla luce, a metà degli anni Novanta, una delle pagine più efferate della storia italiana. Cinque anni fa un accordo tra Marina Militare e Comune della Spezia portava alla realizzazione dell’archivio della memoria processuale delle stragi naziste nella sede dell’ex Tribunale militare, soppresso nel 2008. Nel frattempo il complesso architettonico che ospitò gli uffici giudiziari che riscattarono l’inerzia dello Stato a perseguire i crimini di guerra è diventato sede del Commissariato della Marina Militare.

Ma l’aula è rimasta uguale con il suo carico di storia, segnata dalle testimonianze-choc sulle barbarie, le requisitorie, i verdetti davanti ai familiari delle vittime, fra gli altri quelli di Sant’Anna di Stazzema e Marzabotto. L’intesa raggiunta ora tra Comune della Spezia e Marina Militare, su sollecitazione del procuratore generale presso la Corte di appello di Roma Marco De Paolis, che istruì i processi che portarono a 57 ergastoli, è quella di allestire l’aula con pannelli espositivi sulla stagione processuale per renderla meta di visite guidate, soprattutto riservare alle scuole. Il materiale processuale digitale e cartaceo troverà sede all’Archivio storico dell’Istituto spezzino per la Storia della Resistenza e dell’età contemporanea alla Biblioteca Civica Beghi.

Con l’obiettivo di "liberare" la zona della Linea gotica, che correva dalla Versilia a Rimini, una sorta di confine tra la Repubblica Sociale di Salò e il resto della penisola oramai liberata dagli alleati, i militari tedeschi dell'Aufklärungs-Abteilung 16 ("Reparto esplorante 16") comandato dal maggiore Walter Reder, assistiti da fascisti locali, commisero terribili eccidi. Il totale dei civili massacrati furono 15mila, ma su di loro è caduto un imbarazzante silenzio nel dopoguerra, il silenzio degli innocenti. Uno spiraglio tardivo si era aperto con la scoperta del famoso "Armadio della Vergogna" contenente dossier ingialliti e quasi illeggibili, scritti a mano o con una ormai logora impronta lasciata da una vecchia Olivetti 22.

Correva il dopoguerra e la nuova Italia di Ferruccio Parri uscita dalla lotta di Liberazione non perse tempo a rintracciare i crimini commessi su civili: il Procuratore generale militare dell’epoca, Umberto Borsari, annotò in un registro 2.274 casi. Fu raccolto un fascicolo per ogni strage, molto spesso sulla base della documentazione fornita dagli alleati: Fosse Ardeatine (335 vittime), Marzabotto (oltre 800 vittime), Sant’Anna di Stazzema (560 vittime), Barletta (12), Matera (10), Vitulazio e Bellona (73), Napoli Ponticelli (25), Villa Volturno (47), Sparanise (28), Conca della Campania (39), Pietransieri di Roccaraso (140), Gubbio (40), Capistrello (33), La Storta (13), Lager di Fossoli e Bolzano (130), Saviore e Cevo di Valsaviore (10), Valle Aldriga di Mantova (10), Belluno (13 più vari altri), Pedescala (65), Santa Giustina (22), Sant’Anna Morosina (40), Tolmezzo e Torlano (32), Albenga (59), Santa Margherita Ligure e Portofino (38), Monte Turchino e Benedicta (174), Ceriniale (180), San Giustino (30), Vernia (26), Villa Dell’Albero (57), Certosa di Farneta (158), Monastero di Fianetta (150), Quota (71), S. Sepolcro (39), San Terenzo Monti (529), Fucecchio (100), Guardistallo (60), Ronchidosso (80), Ciano d’Enza (300), Castelnuovo Val di Cecina (83), oltre alle stragi dei militari come Cefalonia e Spalato.

Nel giugno del 1947 il Procuratore poté annunciare il prossimo avvio di "oltre mille processi". La macchina giudiziaria, però, si inceppò pian piano con le elezioni del ’48, la fine dell’unità nazionale, la guerra fredda, l’invito degli americani a non chiedere estradizioni dalla Germania. Solo una decina di processi giunsero nei tribunali e portarono alla condanna di Herbert Kappler per le Fosse Ardeatine e di Walter Reder per Marzabotto. Nel gennaio 1960 con un semplice timbro e la scritta «archiviazione provvisoria», il nuovo Procuratore generale militare Enrico Santacroce seppellì 695 fascicoli riguardanti le stragi tedesche in Italia in uno scantinato della Procura generale militare, a Palazzo Cesi, in via degli Acquasparta a Roma, dentro un armadio chiuso a chiave e con le ante rivolte verso il muro. Per maggior sicurezza il vano era protetto da un cancello, ugualmente chiuso a chiave. Una tomba perfetta. A rompere quasi involontariamente quel segreto che il dottor Santacroce si era portato nella tomba nel 1975, dopo sedici anni ininterrotti a capo della Procura generale militare, fu nel maggio del 1994 il giudice Antonino Intelisano, che alla ricerca di prove a carico di Priebke, incriminato per la strage delle Fosse Ardeatine, incaricò i suoi collaboratori di setacciare ogni angolo degli archivi.

E così a Palazzo Cesi, sede degli uffici giudiziari militari, spuntò un armadio con 695 fascicoli sui crimini di guerra, una storia raccontata dall’inizio con passione da Franco Giustolisi, giornalista dell’Espresso e poi presidente del Comitato per la verità e la giustizia sulle stragi nazi-fasciste. Tra il 1994 e il 1996 i dossier sulle stragi sono stati distribuiti alle varie Procure militari competenti che hanno rimesso in modo la macchina processuale cominciando da Priebke, Theodor Saevecke, Friedrich Engel (capo delle SS a Genova e organizzatore delle stragi in Liguria, condannato all'ergastolo dal Tribunale militare di Torino), l’SS ucraino Michael Seifert, rifugiatosi in Canada dopo aver seviziato e ucciso assieme al suo camerata Otto Sein decine di prigionieri nel campo di prigionia di Bolzano e infine condannato all’ergastolo a Verona.

Gran parte dei fascicoli sono finiti alla Spezia in un edificio fine Ottocento sede della Procura Militare e dell’annesso Tribunale Militare della Spezia, uno dei più importanti d’Italia per la vastità territoriale delle proprie competenze. Nel 1994 da Roma arrivò un camion contenete 214 fascicoli. La maggioranza di quegli atti è andata "esaurita" per la scomparsa degli indagati e degli indagabili o per l’impossibilità a identificarli. Ne restavano 64. In quell’elegante palazzo molti processi si sono conclusi, a cominciare da quello riguardante la strage di Sant’Anna di Stazzema. Da uno scandalo durato 50 anni è nata così la stagione giudiziaria che ha sanato la ferita nel cuore dei familiari delle migliaia di vittime degli eccidi. Ma quali sono stati gli effetti reali sul piano dell’esecuzione dei verdetti? Purtroppo nessuna estradizione è stata autorizzata dalla Germania e così gran parte dei condannati sono morti nel loro letto.

Marco Ferrari