È l’Italia dei piccoli comuni a sacrificare i suoi figli a Monongah all’inizio del ‘900. Centinaia di nostri connazionali, partiti qualche anno prima da paesi di appena mille abitanti, trovano la morte in un continente tanto lontano dalla madrepatria, ma in un ambiente naturalistico non completamente diverso da quelle regioni italiane che avevano dato loro i natali. Ancora oggi, a distanza di un secolo, quei paesi sono abitati. Centri che hanno conservato le loro tradizioni, i loro dialetti, ma solo un lieve ricordo di quegli emigrati. Contrade caratteristiche e di assoluto splendore sopravvissute a calamità naturali e alle grandi guerre.

Tra i vicoli di questi piccoli centri d’Italia, però, dei minatori deceduti a Monongah è rimasta solo qualche traccia, almeno in qualche ingiallito documento d’anagrafe. I loro nomi sono sui registri di ogni singolo comune. È in questa Italia che siamo voluti tornare, alla scoperta dei paesi d’origine dei minatori, seguirne le orme lasciate all’inizio del secolo scorso per ritrovare qualche segno del loro passaggio sulla terra, restituendo a tutti quella dignità strappata da un evento violento e tragico come fu lo scoppio della miniera statunitense del West Virginia.

Sono sei le regioni italiane di provenienza dei minatori morti il 6 dicembre 1907. Sono l’Abruzzo, la Calabria, la Campania, il Lazio, il Molise e la Puglia a perdere i propri cari nel nuovo continente. Se si leggono i nomi dei comuni in cui sono nati quei minatori alcuni suonano strani. Fossalto, Pescocostanzo, Falerna, Caccuri, Carfizi sembrano paesi misteriosi, quasi appartenenti a un’altra nazione. Nomi di città tanto bizzarri quanto sconosciuti. Paesi sperduti in angoli ignoti della nostra nazione. Sperduti perché la maggior parte di essi è fuori dalle più importanti vie di comunicazione. Ieri come oggi.

Grappoli di case arroccate sulle montagne d’Abruzzo o di Molise, di Calabria o dell’entroterra campano, ancora oggi tenuti in poca considerazione. Eppure anch’essi fanno parte di quegli 8.100 comuni italiani che hanno reso grande il Belpaese. È qui che siamo tornati, è questa la realtà che vogliamo ancora analizzare alla ricerca delle radici di quei lavoratori di miniere che nel secolo scorso hanno sacrificato la loro vita all’interno delle gallerie per l’estrazione del carbone. Se oggi il nome di questi paesi può assurgere a emblema di un eroismo di altri tempi lo si deve proprio a chi, centoundici anni fa, non ha esitato a risparmiare la propria vita in nome di valori autentici ben radicati nella terra d’Italia.

Sono 28 i paesi italiani coinvolti nella tragedia di Monongah. E la la nostra spedizione a ritroso compiuta nel 2003 una spedizione della memoria e nella memoria collettiva per onorare chi, oltreoceano, con il suo spirito di sacrificio e con il desiderio umano di costruire un futuro migliore, ha portato alto il nome dell’Italia. Di quella Italia dei primi trenta anni del novecento che ha a che fare con il problema delle comunicazioni, con l’arretratezza del settore meccanico nell’industria, con l’inadeguatezza del sistema bancario e le condizioni precarie della manodopera contadina. È l’Italia dell’emigrazione. Per questo siamo tornati lì dove gli emigrati, con moglie, fili e qualche bagaglio, a malincuore ma costretti dalle circostanze ad affrontare mesi di navigazione diretti negli Stati Uniti d’America, hanno lasciato il suolo patrio per cercare fortuna in America.

La Valle Roveto, verde angolo d’Abruzzo solcato dal fiume Liri, abbraccia oggi otto piccoli comuni: Capistrello, Canistro, Civitella Roveto, Morino, Civita d’Antino, San Vincenzo Valle Roveto e Balsorano, tutti ricadenti nel territorio della provincia dell’Aquila. Tre di questi minuscoli paesi sono entrati di diritto nella storia di Monongah e della sua miniera per avere sacrificato nella lontana contea del Canion tanti propri compaesani. I nomi di Canistro, Civitella Roveto e Civita d’Antino appaiono sui registri della miniera statunitense quali paesi d’origini di molti minatori deceduti nello scoppio del 6 dicembre 1907. In Abruzzo siamo andati alla ricerca delle loro famiglie, dei loro discendenti per conoscere qualcosa di più di loro e delle loro usanze, per apprendere qualcosa di più profondo perché il loro non rimanesse un semplice nome annotato su un registro di morte, ma rievocasse per tutti gli italiani un eroe del lavoro. La Valle Roveto si raggiunge mediante la superstrada del Liri, un’arteria a scorrimento veloce che collega in scarse tre ore l’Abruzzo alla Campania.

Ci vuole poco per raggiungere Canistro, piccolo comune di mille abitanti diviso in due zone, la parte superiore, quella più nuova situata alla destra del fiume Liri, e l’antico borgo. Due volti di un paese ricco di attrazioni naturali che del vecchio abitato di primo novecento conserva solo una monumentale fotografi nella sala consiliare del Municipio. Il centro storico offe scorci molto scenografici. Non manca una splendida fontana di fine ottocento nel cuore del centro storico. Lungo queste strade, alcune delle quali hanno conservato
la vecchia struttura, sono animate da bambini e adolescenti, che giocano ignari della vicenda della miniera statunitense