Nello stato di tensione che domina la vita politica italiana predomina un interrogativo: quale governo si potrà formare dopo le prossime elezioni europee, considerato che l'attuale esecutivo gialloverde è apparso nelle ultime settimane in preda ad uno scollamento quantomeno estremamente difficile il proseguimento della collaborazione tra leghisti e cinquestelle? Le ipotesi sul tappeto sono due, entrambe, per diversi motivi di non facile praticabilità. La prima è quella sulla quale insistono tenacemente Forza Italia e Fratelli d'Italia che chiedono a Matteo Salvini di svincolarsi dall'abbraccio con i pentastellati e di riproporre, a livello governativo, quella coalizione di centrodestra che, stando ai sondaggi, dovrebbe godere di un vasto consenso.

Questa ipotesi, tuttavia, presenta almeno due controindicazioni: unito per catturare i voti degli elettori, il centrodestra è, in realtà, tutt'altro che unito nella scelta della politica da perseguire, con Berlusconi e Salvini attestati su posizioni che non è eccessivo definire antitetiche. Lo stesso Salvini sembra esserne pienamente consapevole: cinicamente sfrutta il Cavaliere per gonfiare i consensi della coalizione della quale è ormai il leader, ma non gradisce averlo come partner di governo. La seconda controindicazione è costituita dal fatto che, con i numeri dell'attuale Parlamento, il centrodestra da solo non ha la maggioranza né a Montecitorio né a Palazzo Madama.

Berlusconi garantisce che se Salvini si decidesse a liberarsi dall'alleanza con Di Maio abbandonando i cinquestelle al loro destino, il centrodestra raggiungerebbe in fretta la maggioranza giovandosi dell'affluire nelle sue file di un numero elevatissimo di pentastellati "pentiti". È un'ipotesi possibile, specialmente se alle "europee" il movimento grillino (continuiamo a chiamarlo così per comodità dialettica anche se Grillo è "in fuga") dovesse subire una nuova batosta. L'altra possibilità è quella di un'intesa tra il Pd e i cinquestelle. Sulla carta una simile alleanza avrebbe sia alla Camera sia al Senato i numeri per governare. Ma l'accordo tra queste due forze appare di improbabile se non di impossibile realizzazione. Viste le prese di posizione recenti esso segnerebbe, all'interno dell'uno e dell'altro partito, rotture e dissociazioni piuttosto pesanti.

In particolare nel Pd la componente renziana che resta, malgrado le discriminazioni subite, assai consistente non vi aderirebbe mai e, se l'accordo dovesse realizzarsi, si potrebbero addirittura creare le condizioni di una scissione. Sullo sfondo, dunque, si fanno strada altre soluzioni: quella che leghisti e pentastellati accantonando o quantomeno ridimensionando le attuali divergenze, frutto anche di una esasperata concorrenza elettorale (che ha raggiunto il suo acme con il "caso" del sottosegretaio Siri) ritrovino, in qualche modo, le ragioni del loro stare insieme e il governo resti in carica o quella di andare, nel prossimo autunno, anticipatamente alle urne nella speranza che dal voto possano nascere nuovi e più adeguati sviluppi. E di quest'ultima ipotesi metterà conto tornare a parlare.

OTTORINO GURGO