È la quarta in questa legislatura ad essere espulsa dal M5S. "E sa come l’ho saputo? Mi ha chiamato un cronista dell’Adnkronos e mi ha comunicato la decisione dei vertici dei Cinque stelle". Gloria Vizzini, originaria di Caltanissetta, classe ’78, una laurea in lettere nel cassetto con un dottorato di ricerca in filologia greca e latina, l'altro ieri attorno all’ora di cena è stata allontanata dal gruppo parlamentare del Movimento.

Onorevole Vizzini, se l’aspettava?

In parte sì, ma in parte no perché non c’era un casus belli. Non pensavo ci fosse una istruttoria nei miei confronti. Ma qui la questione è un’altra.

Quale?

L’espulsione è stata decisa a ridosso della votazione del decreto sicurezza-bis che si terrà fra due settimane. Stavo già preparando emendamenti ma il capogruppo c’aveva intimato di non rilasciare dichiarazioni, di non provocare la Lega. Eravamo ridotti al mutismo e all’immobilismo. Io non l’avrei mai votato quel provvedimento. E questa volta non sarei uscita ma avrei votato No. Punendone due si sono assicurati il silenzio di tutti gli altri.

A proposito lei sta con Carola Rackete o con Matteo Salvini?

Ovviamente con Carola. Io sto con chi salva vite umane e con chi fa di tutto per non inferocire la gente.

Quanti sono oggi i potenziali dissidenti all’interno del Movimento?

Non sono tantissimi. La paura di andare alle elezioni è sempre più forte.

Quali sono stati i capi di accusa? Nel blog si legge “ripetute violazione dello statuto e del codice etico del Movimento»

Guardi, avrei violato lo statuto perché non sono stata presente alla votazione finale di alcuni provvedimenti targati Lega. E poi ho votato in difformità per la Xylella, una battaglia che il movimento ha sempre portato avanti, ma poi, ahimè, ha deciso di cambiare idea. Un altro capo d’accusa riguarda le mancate restituzione.

Perché lei non ha restituito i soldi come stabilito dal movimento?

Ci sono problemi sulla destinazione. È stato istituito un comitato rimborsi e di conseguenza il denaro va in un conto intestato a Di Maio, Patuanelli e D’Uva. A quel punto viene deciso volta per volta dove destinare i soldi.

Insomma lei denuncia la mancanza di trasparenza

Il problema è: chi lo decide?.

Dal movimento l’ha chiamata qualcuno?

«No, nessuno. Mi ha chiamato solo De Falco e poi qualche collega della Camera»

E cosa le hanno detto?

Mi hanno espresso solidarietà e qualcuno si è lasciato andare: "Finalmente ti sei liberata".

A questo punto che cosa farà?

Andrò al misto.

E se le chiederanno di lasciare il Parlamento? Si dimetterà?

«No, assolutamente. Sarei sostituita da uno yesman che accetterebbe ogni cosa che dice Salvini».

Da quanti anni faceva parte del Movimento?

Io ho un lavoro, sono un insegnante di latino e greco alle scuole medie superiori. Ero simpatizzante e solo nel 2018 ho deciso di candidarmi perché c’era una speranza di cambiamento.

Ritiene che con questo governo i Cinque stelle stiano tradendo i loro principi?

Sì, assolutamente. Il Movimento sta abbandonando le battaglie di un tempo. Ma l’errore più grave è appiattirsi su Salvini.

Sarebbe stato più ragionevole allearsi con il Pd?

Con il senno di poi, sì. Ricordo benissimo le parole di Di Maio in Assemblea: "Fidatevi di me, io parlo con Matteo Salvini e ci vado d’accordo". Da subito però abbiamo capito che c’è stata una totale sottomissione. Il caso dell’immunità sulla Diciotti è stato il punto di non ritorno.

Oggi nel movimento chi comanda?

Comandano in due: Casaleggio e Di Maio.

La sua espulsione chi l’ha decisa?

Ho letto che l’ha decisa Di Maio. So che c’è stata una riunione venerdì. Un tempo ci sarebbe stata una votazione sul blog…

Ultima domanda: dopo la sconfitta del 26 maggio Di Maio era stato messo in discussione. Poi c’è stata una frenata. È stato un errore non prevedere un cambio di linea e di leadership?

Il leader aveva le sue responsabilità, la scelta dei ministri, la linea politica da seguire. Addirittura una volta per l’emendamento sul revenge porn siamo stati bloccati per sei ore perché Di Maio era negli Stati Uniti. Si parlava di rimpasto e non c’è stato. E alla fine sono stati puniti solo due peones di provincia.

Giuseppe Alberto Falci