Il lavoro é la nostra identitá. Chi non lavora "non é". Lo ripeto sempre. La nostra connessione con la societá é privilegiata dalla nostra capacitá di lavoro, o come anche mi piace ripetere, dalla nostra operositá. Il vero senso della cittadinanza é quello della cittadinanza operosa, che contribuisce con il suo sforzo alla costruzione di una comunitá, di una nazione. Quanto leggo diversi testi giuridici, non posso non sentirmi orgoglioso della Costituzione Italiana, redatta dalla Assemblea Costituente del 2 giugno 1946 e che entro in vigore il 1° gennaio 1948, che stampava nella sua prima frase il segno vincente del popolo italiano: il lavoro.

"L’Italia é una Repubblica democratica fondata sul lavoro". Nessun testo costituzione esordisce in modo cosí concreto e intenso. Ed anche, aggiungo, bello. Lavoro e democrazia sono le fondamenta della nostra Repubblica, il che significa anche che il lavoro e la democrazia sono i diritti e i doveri piú importanti da tutelare, perché fanno parte principale della nostra nazionalitá, da cui scaturiscono tutti gli altri diritti. Questa frase iniziale, questo artícolo "1" a cui seguiranno tutti gli altri sottolinea con forza la base dell’identitá republlicana dello Stato e dei suoi cittadini Ma chi scrisse questa semplice e straordinaria frase, che nella sua semplicitá costituisce di per sé il simbolo dei valori essenziali della nostra nazione?

Nei lavoro della costituente, ma ancora prime nel lavoro di quel gruppo di grandi democristiani riuniti nel luglio del 1943 nel Monastero di Camaldoli, nel Casentino, nacque l’idea di costruire lo Stato repubblicano con un riferimento al comune denominatore di tutti i suoi cittadini: il lavoro. In quegli anni difficili e nel primissimo dopoguerra vennero esposte varie proposte. La prima formula costituzionale fu presentata dal deputato Mario Cevelotto, che era stato membro del Partito Democratico del Lavoro e in rappresentanza del suo partito, dopo il 25 luglio 1943 membro della giunta militare del CLN di Roma. Il testo originale diceva in forma breve e forse meno solenne: «L'Italia è una Repubblica democratica".

La proposta di Cevelotto non piacque alla maggior parte dei membri dell’Assemblea costituente, che la definirono fredda e carente dei tratti precisi del nascente Stato Italiano. Fu allora il giovane costituente Aldo Moro a chiedere di inserire un riferimento al lavoro. Palmiro Togliatti replicó subito e presentó una seconda proposta: "L’Italia é una Repubblica democratica di lavoratori". Anche questa definizione fu bocciata perché enfatizzava piú sulla classe "lavoratori" che sul valore e il senso del lavoro. E fu proprio il democristiano Amintore Fanfani a presentare la formula attuale che fu appoggiata sia dal suo partito (la Democrazia Cristiana) che dal Partito Comunista Italiano e dal Partito Socialista Italiano.

L'articolo 1 della Costituzione Italiana sará quindi approvato con la celebre frase iniziale nella sua interezza il 22 marzo 1947. In tal modo sarebbe nata una Repubblica con una identitá che accomunava tutto il suo popolo: il lavoro, un popolo di lavoratori. Dobbiamo quindi leggere la prima riga della nostra Costituzione come un richiamo ad un principio che ieri como oggi, segna il destino migliore della persone. Evidentemente in un mondo in cui il lavoro comincia a mancare o diventa precario o é fonte di esclusione e di inclusione, il richiamo al lavoro - como nozione generale senza particolari aggettivi - costituisce un solenne richiamo nazionale a riaffermare un bene a cui siamo indissolutamente legati. Perché é como dicevo "Chi non lavora, non é".

JUAN RASO