La storia della moderne banche centrali è desolante. Servendo da macchine di salvataggio dei mercati finanziari e dei governi, per la natura stessa della loro origine ed esistenza, hanno la presunzione di esercitare un potere che non hanno: gestire l’economia e eliminare il ciclo economico. La politica monetaria soffre degli stessi difetti di qualsiasi altra politica economica centralizzata e di altre forme di interventismo e, come tutte le politiche economiche centralizzate e le misure interventiste e redistributive, la politica delle banche centrali fallisce sempre.

La politica monetaria della zona euro, in particolare, ha operato come incentivo perverso per mantenere squilibri strutturali tra: Paesi membri, imprese, risparmiatori, consumatori e pensionati funzionando come un enorme trasferimento di ricchezza dai creditori ai debitori e dai settori produttivi a quelli improduttivi che, costantemente rifinanziati, hanno zombificato l’economia ponendo ostacoli alla produttività e al cambiamento tecnologico. È appunto questo il tipico effetto redistributivo della politica monetaria. La catena di stimoli iniziata dalla Banca centrale europea non è stato altro che un enorme sussidio alla bassa produttività.

L’Europa, rimasta indietro nella corsa per la supremazia tecnologica mondiale, non è una destinazione desiderata dagli investitori globali a causa della mancanza di qualsiasi tipo di politica di investimento coerente oltre a quella, incoerente, di tassi di interesse negativi che non giovano alle imprese se non a quelle che ne hanno bisogno per rimanere ancora solvibili. Non esiste alcuna relazione tra una maggiore e produttiva attività economica e gli "asset purchase program" della banca centrale che aumentano i prezzi obbligazionari e rendono negativi i rendimenti.

L’aumento di ricchezza generale e degli standard di vita si verifica quando le attività finanziarie generano reddito spendibile e reinvestibile, non quando ne sale solo il prezzo creando un fittizio effetto ricchezza. Affinché ci sia un reale effetto ricchezza le attività devono essere fruttifere. Se offrono interessi negativi rappresentano un peso intollerabile per l’economia. Dovrebbe essere ovvio che man mano che i tassi di interesse vengono soppressi, l’economia perde sempre più la capacità di generare entrate sufficienti per soddisfare il debito. E, se è vero che i governi risparmiano interessi sul debito, è anche matematicamente vero che al diminuire del tasso di interesse il debito aumenta rispetto al reddito nazionale. La costante incapacità di vedere solo un lato della medaglia induce ancora i superficiali commentatori finanziari a riverire il presidente della Bce come il salvatore dell’Europa.

Non si rendono conto che Mario Draghi ha reso la vita più facile ai politici perseguendo una politica monetaria che li ha protetti dalle conseguenze delle loro decisioni economiche distruttive. Espandendo il credito in assenza di misure strutturali, Draghi ha offuscato il nefasto impatto della spesa pubblica e sopprimendo i tassi di interesse ha permesso ai governi di continuare ad accumulare sempre più debito penalizzando il settore privato. Il grottesco della situazione è che i governi hanno identificano i bassi rendimenti come una sorta di convalida del mercato delle loro politiche ignorando che il mercato è gonfiato e falsato dalla politica della banca centrale.

Imponendo, poi, una tassa sulle riserve delle banche presso la Banca centrale europea, Draghi ha commesso un’altra enorme sciocchezza: lungi da incentivarne l’attività di prestito, ne ha danneggiato la redditività e poiché l’euro è un’area che dipende dal debito bancario (170 per cento del Pil), a differenza degli Stati Uniti dove la maggior parte dell’economia reale è finanziata dal mercato dei capitali, ha anche gravemente indebolito il meccanismo di trasmissione del credito. Dunque la Bce, a partire dal 2015, ha avviato la più grande espansione monetaria della storia concludendola alla fine del 2018 senza riuscire a stimolare nulla ma rendendo l’economia meno dinamica e aumentando i rischi a lungo termine.

E ora, tutto ciò che non ha funzionato in questi quattro anni è stato nuovamente introdotto come unico modo per salvare la situazione. Draghi, infatti, il 12 settembre, a un mese dalla fine del suo mandato, ha varato un nuovo Quantitative easing da 20 miliardi di euro mensili a partire da novembre e "per tutto il tempo necessario". Un tale programma di finanziamento senza scadenza conferma, ovviamente, il disastro dell’economia europea che, al pari di qualsiasi progetto inefficiente, può sopravvivere solo con iniezioni di liquidità permanenti. Cosa avrebbe dovuto fare il presidente della Banca centrale europea nei suoi otto anni di mandato? Per agire nell’interesse dell’eurozona e di tutti i suoi cittadini avrebbe dovuto impegnarsi a ristrutturare il debito bancario in tutta l’area dell’euro costringendo le banche a mantenersi in salute o a chiudere, invece di aiutare i leader europei a calpestare la propria gente per mantenere a tutti i costi il potere.

Allora sì che avrebbe "salvato" l’euro. L’Europa avrebbe avuto bisogno di politiche strutturali che liberassero le forze di mercato piuttosto che continuare una politica di sostegno agli zombi e finanziamenti a settori statali che indebitandosi senza pagare interessi o, addirittura, pagati per indebitarsi, impediscono la crescita economica del Vecchio Continente. Il nuovo ciclo di monetizzazione permanente della Bce che il successore di Draghi, l’ex capo del Fmi manderà ad effetto, potrà solo peggiorare gli effetti discorsivi nei mercati finanziari e valutari creando sempre più incertezza anche se, per qualche tempo ancora, riuscirà a tenere incollata l’economia europea cercando di prevenire inadempienze sovrane, in particolare quella italiana. Il diluvio europeo incombe.

GERARDO COCO