Nel 2015 l'accordo di Parigi si è chiuso con una serie di piani volti a contenere l'aumento della temperatura globale entro 1,5 gradi. Eppure, secondo l'Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo), l'attuale impatto antropico potrebbe far alzare la colonnina di mercurio di oltre 2,9- 3,4 gradi entro il 2100. La Wmo ha però affermato che è ancora possibile scongiurare questo scenario "surriscaldato". E questo a patto di impegnarsi, tutti, in uno sforzo mirato e collettivo più efficace. Le nazioni riusciranno a impegnarsi in questa sfida? In attesa di conoscere la risposta, ecco qualche dato che informa sulla (preoccupante) situazione attuale. Lo United Nations Climate Action Summit dal 21 al 23 settembre ha impegnato la comunità internazionale a un confronto, a New York, sul tema del cambiamento climatico. In questa occasione, le principali istituzioni che studiano gli effetti del climate change hanno unito le forze e lavorato insieme per redigere e pubblicare il report "United in Science". Si tratta di un rapporto che, nero su bianco, evidenza il profondo e crescente gap che sussiste tra le promesse nazionali fatte in occasione dell'Accordo di Parigi e le azioni che sono seguite.

L'ACCORDO DI PARIGI L'Accordo, che riguarda 197 stati, raggiunto ai colloqui sul clima di Parigi nel dicembre 2015, mira a limitare l'aumento della temperatura media mondiale entro 1,5 gradi e fissa l'obiettivo di eliminare le emissioni globali di gas a effetto serra entro la seconda metà del secolo. Spina dorsale dell'Accordo sono gli NDC, cioè i piani autodeterminati in cui ciascun Paese s'impegna per ridurre le emissioni di gas climalteranti. Molto spesso essi comprendono anche piani per aumentare la resilienza dei territori, sempre più sottoposti a ondate di calore, inondazioni, siccità, incendi boschivi e tempeste. Inoltre suggeriscono buone pratiche di adattamento climatico. Principio fondamentale dell'accordo di Parigi é che nessun Paese retroceda rispetto gli obiettivi dichiarati. Di più, tutti i Paesi sono tenuti a presentare ogni cinque anni NDC sempre più ambiziosi. Una prima opportunità in tal senso avverrà nel 2020.

IL RAPPORTO UNITED IN SCIENCE Il rapporto coordinato dalla Wmo contiene dettagli sullo stato del clima e presenta la tendenza in materia di emissioni e concentrazioni dei principali gas serra nell’atmosfera. Questo rapporto fornisce una valutazione unificata sia dello stato del pianeta sotto l’influenza crescente del cambiamento climatico di matrice antropica, sia delle modifiche radicali che l'uomo dovrebbe attivare per limitare i danni e scongiurare una possibile degenerazione ecosistemica. Il rapporto presenta preziosi dati scientifici sui quali i governi dei 197 stati membri si dovranno basare per elaborare e proporre nuove strategie. Il documento comprende brevi riassunti tematici a cura delle organizzazioni che hanno contribuito alla sua redazione: Wmo, Global Atmosphere Watch, United Nations Environment Programme (Unep), Global Carbon Project, Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), Future Earth, Earth League e Global Framework for Climate Services.

QUATTORDICI DURE VERITÀ SUL CAMBIAMENTO CLIMATICO:

1) Quello del 2015 - 2019 è stato il quinquennio più caldo mai osservato: si stima che, attualmente, la temperatura superi di 1,1 gradi C quella dell’epoca pre-industriale (1850–1900).

2) Continua lo scioglimento del ghiaccio marino e della calotta glaciale artica: dal 1979 al 2018, ogni dieci anni l'estensione della banchisa artica in estate si riduce del 12%. Nel periodo 2015 -2019 essa ha registrato le quattro minori estensioni invernali di sempre. Invece, la quantità di ghiaccio sciolto è sestuplicata tra il 1979 e il 2017. In particolare, la perdita dei ghiacciai nel 2015–2019 è stata la più elevata mai registrata.

3) Il livello del mare continua a salire e l'acqua marina diventa più acida: rispetto al periodo 1997-2006 (che ha registrato un innalzamento marino di 3,04 mm/annui), il decennio 2007-2016 ha registrato un aumento di 4 mm/annui. Inoltre, l'acidità oceanica, rispetto all'inizio dell'età industriale è globalmente aumentata del 26%.

4) Aumentano le concentrazioni di metano e protossido di azoto nell’atmosfera: i livelli di due tra i principali gas climalteranti quali metano (CH4) e protossido di azoto (N2O), hanno raggiunto nuovi picchi. Nel 2017, le concentrazioni atmosferiche medie globali sono state di 1,859 ppb (parti per miliardo) per CH4 e 329,9 ppb per N2O. Questi valori rappresentano un aumento del 257% e del 122% rispetto ai livelli preindustriali (cioé prima del 1750).

5) Le emissioni di CO2 continuano ad aumentare. A novembre, l’Unep (United Nations Environment Programme) pubblicherà la decima edizione dell' UNEP Emissions Gap Report, nel quale vengono riportati gli ultimi studi scientifici sulle emissioni di gas serra (attuali e previste) e confrontati i livelli di emissione per poi poter offrire una traiettoria da seguire almeno compatibile con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. I risultati preliminari del rapporto del 2019 indicano che se gli NDC venissero attuati, entro il 2100 l’aumento della temperatura media globale sarebbe da 2,9° a 3,4° in più rispetto ai livelli preindustriali. Se gli NDC non saranno più ambiziosi o non saranno supportati da misure concrete, non sarà quindi possibile contenere il riscaldamento a 1,5°.

6) Appare ancora possibile limitare l'aumento della temperature del pianeta a +1,5° rispetto all'età preindustriale. Secondo lo Special Report on Global Warming of 1.5°dell'IPCC, non è impossibile limitare il riscaldamento globale a 1,5°, ma questo richiederebbe un cambiamento senza precedenti da parte di tutti gli attori e settori della società. In ogni caso, limitare il riscaldamento globale a 1,5° può far raggiungere importanti obiettivi globali quali conseguire uno sviluppo sostenibile e sradicare la povertà. Secondo il report, per contenere l'aumento del surriscaldamento terrestre entro 1,5° é necessario dimezzare le emissioni climalteranti entro il 2030 e azzerrarle entro il 2050. Le politiche nazionali, per raggiungere questo obiettivo, dovrebbero allora triplicare la loro attività di riduzione di emissione di gas climalteranti per raggiungere l'obiettivo di 2° e quintuplicarle per mantenere il riscaldamento entro 1,5°.

7) Gli impatti dei cambiamenti climatici non solo stanno aumentando ma sono persino più veloci di quanto previsto dalle valutazioni climatiche di un decennio fa. A dirlo è il Future Earth and Earth League. Con l’intensificarsi del cambiamento climatico, le città sono particolarmente vulnerabili ai suoi impatti. In questo senso, le strategie di mitigazione ed espansione per la gestione adattiva del rischio stanno diventando essenziali. La rapidità dei cambiamenti climatici e l’entità dei suoi impatti rendono inadeguate le strategie isolate. Dunque l’Accordo di Parigi può essere rispettato solo intraprendendo un’azione universale immediata che includa una profonda decarbonizzazione, strategie politiche ambiziose, protezione e miglioramento dei "pozzi di assorbimento dell'anidride carbonica" (in primis oceani e foreste) e della biodiversità.

8) Nel 2018, le emissioni globali di anidride carbonica sono aumentate del 2%: nonostante la crescita del dato sia più lenta rispetto a quella economica (si prevede che il Pil globale crescerà del 3,2% nel 2019), non pare intenzionata a fermarsi. Le attuali tendenze economiche ed energetiche suggeriscono che nel 2019 le emissioni saranno tanto elevate almeno quanto quelle del 2018. Nonostante la straordinaria crescita delle energie rinnovabili nell’ultimo decennio, il sistema energetico globale rimane ancora dominato dai combustibili fossili. Le emissioni fossili di CO2 mondiale nel 2018 hanno toccato 37,1 gigatoni (quindi 37,1 miliardi di tonnellate di andride carbonica). L'incremento, rispetto al 1990 è del 63%. Nel 2017 i 6 maggiori produttori di CO2 (Cina, Usa, Unione Europea, India, Russia e Giappone) hanno emesso il 68% dell'anidrire carbonica fossile globale. Tuttavia, tutti eccetto gli Usa (-0,8%) rispetto al 2016 hanno accresciuto le emissioni: India (+3,5%), Unione Europea e Russia (+ 1,1 %), Cina (+ 0,9%) e Giappone (+ 0,1%). La Cina ha prodotto 9,8 miliardi di tonnellate, USA 5,3, EU28 3,5 mentre l'India 2,5. Insieme costituiscono il 58% delle emissioni globali di CO2. Le emissioni di CO2 in Europa sono diminuite del 19,5%rispetto al 1990 e del 16,5% rispetto al 2005.

9) Se invece osserviamo le emissioni di anidride carbonica pro capite (tonnellate/persona), relativamente al 2017: gli Usa sono al primo posto con 16.2 tonnellate pro capite, seconde a pari merito Cina e EU28 con 7, India 1,8.

10) Le emissioni globali di CO2 del 2017 dipendono: per il 40% dal carbone, per il 35% dal petrolio, per il 20% dal gas, per il 4% dal cemento e per l'1% da altre forme di combustione.

11) La Cina è il primo produttore di CO2: nel 2018 ha emesso il 27% delle emissioni globali di anidride carbonica. Le emissioni negli Stati Uniti (15% di quelle globali) sono aumentate nel 2018, ma sono diminuite in generale nell'ultimo decennio a causa del calo dell'uso del carbone e in favore del gas naturale e delle energie rinnovabili. Per le 28 nazioni dell'UE le emissioni totali annue sono diminuite del 20% dal 1990. Alcune stime suggeriscono che l'UE è sulla buona strada per raggiungere i suoi obiettivi di Parigi. L'uso del carbone è in calo, ma rimane una delle principali fonti di emissioni. In ogni caso, le emissioni di CO2 qui sono il 9% del totale. L'India ha contribuito molto meno, su base pro capite, al riscaldamento globale rispetto ad altri grandi paesi. Sebbene il suo consumo di energia e di carbone stia crescendo rapidamente, il paese sta emergendo anche come leader nelle energie rinnovabili. Il suo impatto riguardo le emissioni globale di CO2 è del 7%. Poi la Russia, che il 5% della CO2 mondiale. Gli altri Stati della top ten sono: Giappone (3%), Iran (2%), Arabia Saudita (2%), Corea del Sud (2%), Canada (2%).

12) Dal 1965 al 2015 è in constante aumento l'utilizzo di energia rinnovabile: in particolare nucleare, idroelettrica, solare ed eolica. Inoltre, dal 1975 investire in energia solare è sempre più conveniente: in quattro decenni il prezzo per installare un pannello fotovoltaico è diminuito dell'80%. In ogni caso si tratta una crescita non ancora sufficiente a compensare l'aumento constante nel consumo di energia fossile.

13) Per quanto riguarda il consumo di energia dei maggiori produttori di CO2, nel periodo 2012-2017: la Cina potrebbe aver già raggiunto il picco nelle emissioni di carbone (che oggi registrano -0,7%). Viceversa, aumentano quelle in tutti gli altri settori: +4,2% petrolio, +8,4% gas, +19,6% nucleare, +6,4% idroelettrica, +24,7% altre energie rinnovabili; negli Usa il consumo di carbone è fortemente diminuito ( - 5,7%) con l'aumento del gas di scisto (un tipo di gas metano derivato da argille) + 1,6% e la crescita delle fonti rinnovabili: nucleare +0,8%, idroelettrico +0,9% e altre 11,6% . Il consumo di petrolio è ripreso (+1,3%); nei 28 paesi dell'Unione Europea il consumo di petrolio e gas è aumentato (entrambi + 0,4%), mentre il carbone continua a diminuire (-4,9%). Le energie rinnovabili, ad eccezione del nucleare (- 1,3%) e dell'idroelettrico (- 2,4%) sono in forte crescita (+ 8,6%); in India il consumo di carbone e petrolio sta aumentando vertiginosamente (+4,8% e + 5,2%) così come le energie rinnovabili: nucleare + 3,1%, idroelettrica + 1,9% e altre + 12,8%. Diminuisce, invece, il consumo di gas (- 0,7%).

14) Per quanto riguarda le concentrazioni di CO2 in atmosfera, i ppm (parti per milione) di anidride carbonica dal 1750 al 2017 sono aumentati del 46%: da 277 ppm a 405 ppm. Nello specifico, il 2016 è stato il primo anno a registrare un tasso costante di ppm di CO2 mai inferiore a 400.