Se fossimo pessimisti diremmo che ha vinto la mafia. Penseremmo che le mani sporche di sangue di Riina, Provenzano o di Messina Denaro in questo momento siano levate al cielo per esultare. Con la decisione di ieri la Grande Chambre di Strasburgo ha – nei fatti – reso vincenti le aspettative degli stragisti, dei macellai di Corleone. Le bombe miravano a questo risultato: abolire ergastolo ostativo e carcere duro (4bis e 41bis dell’ordinamento penitenziario). Per cosa è morto Giovanni Falcone? E per cosa Paolo Borsellino? E per cosa le donne e gli uomini, i cui nomi riecheggiano nel lunghissimo elenco letto da Libera ogni 21 marzo in occasione della Giornata in ricordo delle vittime di mafia?

Ecco le domande che dovremmo porre a chi, in Europa, equiparando la criminalità organizzata italiana a quella svedese o danese pensa di abolire con un freddo tratto di penna gli sforzi e i costi altissimi della legislazione antimafia che il nostro Paese ha costruito, è doveroso ricordarlo, anche con il sangue di chi oggi non c’è più. "Non vogliamo la legge del taglione ma la certezza della pena. Esiste o non esiste? Sono preoccupata, ma non mi ritengo sconfitta". Annamaria Torre, figlia dell’indimenticabile Sindaco di Pagani ucciso dalla Camorra, interpreta il sentimento delle vittime. Forse l’Europa vorrebbe che ci dimenticassimo della loro sofferenza delle vittime - oltre cento bambini innocenti, e poi donne e ancora padri di famiglia – per consentire a chi si è macchiato di centinaia di omicidi di uscire da galera, tranquillamente, dopo una manciata di anni.

L’Europa, insomma, vorrebbe farci perdere la lotta contro le mafie. Eppure una speranza c’è: la sentenza del giugno scorso (con cui la Corte Europea di Strasburgo condannava l’Italia ammettendo il ricorso dell’ergastolano Marcello Viola) prevede la possibilità che i giudici lascino agli stati nazionali un "margine di apprezzamento", l’Italia non può dunque che ribadire la sua scelta. In questo senso deve diventare un’unica voce quella del ministro Alfonso Bonafede, che appena pronunciata la sentenza ha sottolineato che "Non condividiamo nella maniera più assoluta" e "faremo valere in tutte le sedi le nostre ragioni". D’altronde la decisione di ieri è determinante nell'influenzare il destino processuale di 957 persone che ancora oggi stanno scontando nel nostro Paese condanne all’ergastolo per reati di mafia e terrorismo. E che, va sottolineato, non hanno avviato nessuna condizione di collaborazione con la Giustizia. In una parola, non si sono minimamente pentiti di ciò che hanno fatto.

Questo è davvero il momento decisivo: da qui passa lo snodo principale per la lotta alle mafie. Decidere se vale la pena combatterle o se abdicare, questa volta senza nessuna "Trattativa", alla luce del sole. Affinché chi sognava di poter contribuire al sogno di sconfiggere le mafie, di liberare la nostra Terra, possa decidere tranquillamente di trasferirsi in Svezia o in Danimarca.

Ergastolo duro, Italia bocciata: benefici ai mafiosi e ai terroristi

L’Italia deve riformare la legge sull’ergastolo duro. Una legge che di fatto oggi impedisce al condannato di usufruire di benefici sulla pena se non collabora con la giustizia. Saranno quindi consentiti benefici per i condannati ad una pena che prevede appunto l’ergastolo duro, come terroristi o mafiosi. Lo ha stabilito la Corte di Strasburgo, rifiutando la richiesta di un nuovo giudizio avanzata dal Governo italiano dopo la condanna – che adesso diventa definitiva – emessa il 13 giugno scorso. Sull’ergastolo duro ai mafiosi la Corte dei diritti umani di Strasburgo (Cedu) dà quindi torto all’Italia e non accoglie il ricorso del governo contro la sentenza del 13 giugno che bocciava il cosiddetto "fine pena mai" in quanto – secondo la giurisprudenza della Corte – a chi è detenuto non si può togliere del tutto anche la speranza di un recupero, ma al soggetto in carcere va riconosciuta la possibilità di redimersi e di pentirsi ed avere quindi l’ultima chance di migliorare la propria condizione.

Nella sentenza emessa lo scorso 13 giugno, e ora definitiva, la Corte di Strasburgo ha stabilito che la legge sull’ergastolo ostativo viola il diritto a non essere sottoposti a trattamenti inumani e degradanti. Il caso su cui la Corte si è pronunciata è quello di Marcello Viola, in carcere dall’inizio degli anni ’90 anni per associazione mafiosa, omicidio, rapimento e detenzione d’armi. L’uomo si è finora rifiutato di collaborare con la giustizia e gli sono stati quindi rifiutati due permessi premio e la libertà condizionale. Nella sentenza la Corte spiega che lo Stato non può imporre il carcere a vita ai condannati solo sulla base della loro decisione di non collaborare con la giustizia. I giudici di Strasburgo ritengono che "la non collaborazione" non implica necessariamente che il condannato non si sia pentito dei suoi atti, che sia ancora in contatto con le organizzazioni criminali, e che costituisca quindi un pericolo per la società.

La Corte afferma che la non collaborazione con la giustizia può dipendere da altri fattori, come per esempio la paura di mettere in pericolo la propria vita o quella dei propri cari. Quindi, al contrario di quanto affermato dal governo, la decisione se collaborare o meno, non è totalmente libera. Allo stesso tempo a Strasburgo ritengono che la collaborazione con la giustizia non comporti sempre un pentimento e l’aver messo fine ai contatti con le organizzazioni criminali. Nella sentenza la Corte non dice che Viola deve essere liberato, ma che l’Italia deve cambiare la legge sull’ergastolo ostativo in modo che la collaborazione con la giustizia del condonato non sia l’unico elemento che gli impedisce di non avere sconti di pena.

L’Italia, nel suo ricorso, ha spiegato la specificità criminale del nostro Paese, la pericolosità delle mafie, Cosa nostra, camorra, ‘ndrangheta. Il ricorso aveva motivato la ragione delle norme rigide sull’ergastolo spiegando che esse riguardano solo alcuni reati molto gravi, come mafia, terrorismo, pedopornografia, e consentono una strategia severa contro chi, aderendo a un’organizzazione mafiosa o terroristica, si pone l’obiettivo di destabilizzare lo Stato.