Il protagonista di “Hammamet” non ha un nome. Ma è innegabilmente un film su Bettino Craxi. Mai nominato, però il protagonista, magistralmente reso da Pierfrancesco Favino, è un segretario del Partito Socialista Italiano che, alla “fine del secolo scorso”, malato, è latitante in Tunisia, inseguito da due condanne della magistratura italiana, accudito da moglie e figlia. Una metamorfosi emotiva straordinaria.

Lascia incantati, letteralmente paralizzati, il mimetismo di Pierfrancesco Favino. Una performance con pochi precedenti nella storia del cinema. Da ieri nelle sale italiane, il film restituisce, attraverso la favolosa interpretazione di Favino, il crepuscolo del leader socialista. Ricorderanno gli italiani che all’epoca c’erano, Bettino Craxi padrone dell’Italia negli anni Ottanta, qui raccontato da Gianni Amelio. Nell’esilio in Tunisia, consumato da malattia e solitudine, compulsione da cibo. E amore e rabbia verso il proprio Paese.

La vicenda mette insieme due aspetti, e li salda. La riflessione non tanto sulla cronaca, quanto sotto l’aspetto della storia. La filologia del potere vista dal privato. E dall’altro aspetto, quel filo narrativo che riconduce fatalmente al vero Amelio. Il regista, come in altri film, in questo propone un confronto “tra padri e figli”. Craxi, nome in questo caso di fantasia (ma indubbiamente proprio lui è) viene raggiunto da Fausto, figlio di un vecchio compagno suicida, intenzionato a ucciderlo.

Ma tra i due scatta uno strano rapporto. Il gioco/realtà diventa complesso, ma per gran parte del film tiene. Soprattutto quando la politica è diluisce in una dimensione umana. Anche se Amelio, alla fine, sembra temesse di non disporre di abbastanza storia, compresso tra il vero e il falso. Laddove non è agevole capire cosa abbia affascinato il regista nella storia.

Fuori si intravvede la povertà della Tunisia, piena di bambini. Palese la voglia di affrancarsi da una scomoda etichetta: il protagonista del film non sono io, il regista, ma è Fausto. Il tramite per lo spettatore. Il film è tutto filtrato dal punto di vista di “Craxi”. Lo spettatore, in definitiva sintesi, non può schierarsi con questo eroe tragico, che osserva la storia da sconfitto ma orgoglioso. In fondo, forse D’Amelio guarda all’Italia di un tempo lontano, che aveva già dislocato in Albania ai tempi di “Lamerica”.

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Favino, splendido attore protagonista, dispensa sulla scena infinite emozioni. “Se ci si scorda un attimo che stiamo parlando di una persona realmente esistita, il tema del film è questo”. L’essenza di Craxi restituita sullo schermo non solo col trucco, ma anche con i gesti e la voce. “Amo ciò che faccio, mi interessano gli esseri umani, ciò che gli attraversa, le motivazioni che li muovono. Quest’uomo ha una ricchezza di aspetti, emotiva, pubblica, politica, storica, potente”.

In altri momenti, Favino ha confidato di aver perso la fiducia nella politica. “Oggi ho cinquant’anni, ne sono trascorsi trenta di storia del Paese. A venti anni vuoi cambiare il mondo. Bene, la vicenda Craxi e di Mani Pulite hanno stracciato alla mia generazione la pagina in cui c’era scritto quello che volevamo e potevamo fare. Vedevamo il mondo cambiare, disgregato dalle molte cose in cui avevamo creduto”.

Il segreto profondo della sua meravigliosa interpretazione? “In “Hammamet” ho provato ad avvicinarmi al ricordo che abbiamo di Craxi e farne un’invenzione”. In una scena, gli insulti dei turisti, i comici che recitano e ridono a crepapelle con il protagonista sulla sedia a rotelle. Favino ammette che sono in molti ad essere portati all’esagerazione, in questi giorni. “Non è che Craxi se lo aspettasse e non ne patisse. Ma sapeva di far parte della storia”.

In definitiva, anche in questa di storia, un affare di padri e figli, vige la regola vera, anche se non scritta. “Il potere è fragile come gli uomini”.

di Franco Esposito