In controtendenza con il periodo di preoccupazione vogliamo dedicare un pensiero grato al maritozzo con la panna. In una piccola e antica pasticceria di quartiere, situata in un vicoletto del centro di Roma, vicolo Savelli, dove per trovarla bisogna cercarla bene, abbiamo mangiato uno di questi dolci cari alla tradizione romana, giusto nella dimensione, morbido nell'impasto ed esaltante nel connubio con la panna. La proprietaria, figlia del pasticcere che ha lavorato qui per oltre 50 anni, e che prosegue la tradizione con le ricette di famiglia, ci ha raccontato che gli stranieri arrivano a Roma con 'maritozzo con la panna' scritto su un foglio e girano le pasticcerie cercandolo, perché non tutte le pasticcerie della Capitale lo vendono, non più richiesto (troppe calorie?) come un tempo. Anche se a Monti ha aperto un negozio solo di maritozzi, con ricette classiche ma anche creative, dolci e salate, si chiama Marì e ha un arredo tutto anni '50 con colori e immaginette pop. È in via Urbana.

Poco distante salendo al palazzo Brancaccio c'è Regoli, una delle più note pasticcerie tradizionali di Roma, a conduzione familiare, aperta nel 1916, dunque oltre 100 anni fa. Da Regoli ci sono ancora i maritozzi quaresimali, scuri e con frutta secca, una variante del classico che 500 anni fa si usava appunto durante il periodo cristiano della Quaresima. Volendo rintracciarne i parenti certamente li troveremmo in Sicilia dove nella pagnottella levitata al posto della panna mettono il gelato. Ma cos'è un maritozzo? È un dolce tipico del Lazio e consiste in una in una piccola pagnotta impastata con farina, uova, miele, burro e sale che, tagliata in due longitudinalmente, è solitamente farcita con abbondante panna montata freschissima.

La ricetta avrebbe origini che risalgono sino all'antica Roma, quando era considerato un pasto tipico dei pastori, pagnottella dolce che dava energia nelle lunghe nottate da passare all’aperto accanto al gregge. Avanti nel tempo il maritozzo verrà arricchito anche con pinoli, uva e scorzetta d'arancia candita. Il suo nome deriverebbe dall'usanza romantica di offrire questo dolce alla propria fidanzata: le future spose che lo ricevevano in dono usavano appunto definire il donante 'maritozzo', vezzeggiativo popolare e burlesco di marito. Il dolce poteva, in tali occasioni, celare al suo interno anche doni per l'amata come un anello o un piccolo gioiello. A Roma nel cinque-seicento era anche l'unico peccato di gola che ci si poteva concedere durante la Quaresima e infatti, più piccolo e più scuro, senza strutto ma con solo olio e farcito con frutta secca, assumeva il nome di 'quaresimale'.

Il 4 aprile del 1833 il poeta Giuseppe Gioacchino Belli in una sua ode scrive come per il popolano romano il vero cristiano è colui che durante la Quaresima mangia i maritozzi. Belli aggiunge anche una nota in italiano per spiegare: "I maritozzoli sono certi pani di forma romboidale, composti di farina, olio, zucchero, e talvolta canditure, o anaci, o uve passe. Di questi si fa a Roma gran consumo in Quaresima, nel qual tempo di digiuno si veggono pei caffè mangiarne giorno e sera coloro che in pari ore nulla avrebbero mangiato in tutto il resto dell’anno". Dunque che maritozzo sia ma nella versione goduriosa: diviso a metà e riempito di panna montata, fresca.