È una delle domande che tutti si pongono, quando ci si avventura fuori di casa magari per fare la spesa o comprare un giornale. C'è il rischio di essere contagiati dalle superfici dove il virus eventualmente si posa? Purtroppo la risposta è sì: dopo mesi dal passaggio del coronavirus nell'uomo iniziano a essere pubblicati i primi dati circa la resistenza su diverse tipologie di superfici, che confermano sostanzialmente quanto già sapevamo sugli altri coronavirus, quello della Sars in particolare.

I primi studi, ricorda il virologo Roberto Burioni che al tema ha dedicato un focus sul suo sito Medical Facts, "sono stati quelli relativi alla contaminazione ambientale delle stanze in cui erano stati ricoverati pazienti affetti da COVID-19, la malattia che il nuovo virus causa. Avevamo sottolineato - spiega - come tracce importanti di virus fossero presenti non tanto nell’aria, quanto piuttosto sulle varie superfici della stanza di degenza. Per quanto importante e utile, quello studio aveva, però, un limite tecnico: veniva ricercato il patrimonio genetico del virus e non la presenza di particelle virali integre. Questo dettaglio non è di poco conto, in quanto solo particelle virali integre sono in grado di infettare se entrano in contatto con il nostro organismo. In altre parole, il virus era sicuramente presente su varie superfici nelle stanze di degenza, ma non si poteva essere sicuri se esso potesse essere anche infettivo".

La svolta però è arrivata di recente da uno studio condotto negli Usa, dove i ricercatori hanno valutato non solo la capacità del virus di permanere nel tempo su varie tipologie di superfici ma, cosa ancora più importante, ne hanno valutato la conseguente capacità di infettare. "Questo è molto importante - sottolinea Burioni - in quanto confermerebbe come un modo importante di trasmissione del virus sia quello "indiretto" attraverso le nostre mani. Tocchiamo superfici contaminate e, inavvertitamente, ci infettiamo portando le mani alla bocca, nel naso o negli occhi". Ed ecco i risultati: gli scienziati hanno messo una quantità nota di virus (grazie al suo isolamento in laboratorio) su diverse tipologie di superfici.

In particolare ne hanno analizzato quattro: rame, cartone, acciaio inossidabile e plastica. Sono andati, poi, a verificare come la capacità infettante del virus cambiasse col passare delle ore. Tutto condotto a temperatura ambiente (21- 23°C con umidità relativa del 40%), condizioni che potremmo tranquillamente paragonare a quella delle nostre case. Ne è emerso che i materiali più "inospitali" per il virus sono il rame e il cartone con un dimezzamento della capacità infettiva in meno di due ore per il primo materiale e entro 5 ore abbondanti nel caso del secondo.

Un abbattimento completo dell’infettività è stato osservato rispettivamente dopo le 4 ore per il rame e le 24 ore per il cartone. Più lunga la persistenza sulle altre due superfici. Sull’acciaio inossidabile la carica infettante risultava dimezzata solo dopo circa 6 ore, mentre ne erano necessarie circa 7 per dimezzarla sulla plastica. Questo dato si associava a un tempo decisamente più lungo, rispetto ai primi due materiali, per osservare un completo azzeramento dell’infettività: almeno 48 ore per l’acciaio e 72 per la plastica. Il rischio, quindi, diminuisce notevolmente al passare delle ore ma non si annulla se non dopo qualche giorno.