Nel rapporto tra Chiesa e Stato o meglio tra Cei e Governo poche volte si è registrato un botta e risposta così immediato. Ancora non era stato pubblicato il Dpcm che gli uffici della Cei rispondevano con parole di una durezza inconsueta. È evidente che qualcosa non è andata per il verso giusto. Dal momento che fin dalle prime battute di questa crisi, drammatica crisi, si è cercata la massima sinergia con una chiesa pressata dai fedeli, dagli stessi preti e dai maestri di pensiero, alcuni di questi ultimi non avevano contezza delle questioni religiose.

È evidente a tutti che un fremito e un anelito religioso, vuoi per paura, vuoi perché dinanzi alle crisi, emergano le domande ineludibili. Proprio domenica durante la celebrazione eucarestia, in una di Basilica San Francesco d’Assisi vuota, riecheggiavano più forte che mai le parole del Custode, padre Mauro Gambetti: "Noi speravamo… che il nostro mondo fosse oramai invulnerabile e che l’imponderabile non si sarebbe mai introdotto nel sistema. La scienza ci dava sicurezza; la tecnologia prospettava il superamento di ogni limite umano; l’economia, seppur imperfetta, governava risorse e welfare garantendo sempre consumi e, spesso, eccessi; la spettacolarizzazione – delle vicende sociali e politiche, dello sport, dell’arte, delle emozioni, della sessualità… – riempiva, insieme ai social, le nostre pause e i nostri vuoti.

Il pericolo, la precarietà e l’irreparabile facevano parte di racconti lontani nel tempo o nello spazio. E quando l’insicurezza si affacciava, bastava mostrare il pugno e ricacciarla in mare. Anche la morte stava per essere vinta, perché era sempre più vicino il momento in cui noi avremmo potuto liberamente decidere quando vivere e quando morire, affermando così il nostro infinito potere. Che delusione! Il nostro sistema è fragilissimo, sta agonizzando. Qualcuno cercherà di rianimarlo. Ma è bene? Qualcuno sta cercando il colpevole. Serve? Il mondo è atterrito. Credo che questo dramma assomigli a quello vissuto dai discepoli di Gesù".

Ritroviamo su pagine nazionali e internazionali articoli che riguardano la tematizzazione religiosa. Non ultima quella di "Le Figaro" che arriva a dire: non possiamo non dirci cattolici. Comprendo il Governo sotto pressione, comprendo la Chiesa, comprendo i fedeli, ma è chiaro che la questione posta dalla Cei merita un sì convinto senza se e senza ma. La Chiesa oltre ad essere quella del grembiule accanto ai poveri è anche quella dell’anfora dove i credenti si dissetano per "ricevere" forza. La Chiesa sa bene come attuare le precauzioni da prendere e la prudenza da vivere. E sarà la prima, come ha sempre fatto, a ottemperare in modo onesto e retto le direttive del Governo in una sinergia che mette al centro l’uomo e la sua salute fisica e spirituale. Ecco perché non bisogna aver timore di far sì che i sacerdoti e i religiosi vivano il loro ministero al servizio del popolo di Dio.

La reazione della Conferenza Episcopale Italiana è anche accogliere gli inviti di Papa Francesco che in questi giorni non ha mancato di "dettare" la linea basti pensare a tre interventi. Il primo: "Le misure drastiche non sono mai buone". Il secondo: "In tempo di pandemia non si deve fare il don Abbondio. La creatività dei sacerdoti, che pensano mille modi di essere vicini al popolo, perché non si senta abbandonato. Sacerdoti con lo zelo apostolico". Il terzo: "Ok le messe in diretta streaming senza fedeli, ma solo in tempi di crisi perché questa non è la Chiesa: questa è la Chiesa di una situazione difficile, che il Signore permette, ma l’ideale della Chiesa è sempre con il popolo e con i sacramenti. Sempre".

Un sempre ripetuto più volte. Si troverà quindi, ne sono certo, una soluzione che porterà a vivere la fede. Il comunicato della Cei è animato, credo, dalle parole di Madre Teresa di Calcutta che invitava tutti ad abbeverarsi all’anfora della preghiera: "Senza Dio siamo troppo poveri per aiutare i poveri".

di PADRE ENZO FORTUNATO