L'incontro alla Farnesina tra Di Maio e Raggi ha scoperchiato il vaso di Pandora. Secondo la norma aurea, a fare un passo indietro sarebbero tutti, tranne Di Battista che però non si opporrebbe a un cambio delle regole: ossia ad alzare l'asticella a tre mandati. "Virginia Raggi ha fatto più strade degli antichi romani", dice il pasdaran consigliere a 5 stelle Paolo Ferrara nel tentativo tragicomico di tirare la volata a un bis della prima cittadina. Lo stesso che, pensando a uno stop dovuto alla regola dei due mandati, aveva scosso la testa sconsolato spiegando che sarebbe come se "Giulio II avesse impedito a Michelangelo di completare la cappella Sistina". Non sarà Giulio Cesare né un papa a impedire o avallare un secondo giro della sindaca, deciderà tutto la discussione dei prossimi mesi all’interno del Movimento 5 stelle.

L’incontro con Luigi Di Maio alla Farnesina ha scoperchiato il vaso di Pandora, e da un paio di giorni fra i 5 stelle non si parla d’altro. Fatto salvi per Roberta Lombardi e Nicola Morra, nessuno tra i big M5s si è detto apertamente contrario. Anzi, il capo reggente Vito Crimi, proprio sul caso del Campidoglio, ha aperto palesemente all’eventualità di una nuova corsa. E nei scorsi giorni nel Movimento è iniziata a circolare anche la notizia che nemmeno Alessandro Di Battista, sia pur con tutte le prudenze, si opporrebbe a un cambio (l’ennesimo) delle regole ("Perché già parte del gruppo parlamentare lo mal tollera - dice velenoso un suo compagno di partito - figuriamoci se sparasse contro"). Una notizia non da poco, visto che tra gli esponenti di primo piano in casa pentastellata sarebbe l’unico a non essere falcidiato dalla mannaia di uno stop dopo il secondo giro.

Secondo la norma aurea, a fare un passo indietro sarebbero tutti: da Di Maio a Roberto Fico, da Paola Taverna ad Alfonso Bonafede, da Nunzia Catalfo a Stefano Patuanelli, da Morra a Danilo Toninelli. Tra i ministri l’unico a "salvarsi" sarebbe Vincenzo Spadafora, tra i vertici parlamentari potrebbe tentare un secondo giro di giostra al massimo Riccardo Ricciardi, il vicepresidente dei deputati esploso agli onori delle cronache per lo scomposto intervento antileghista di qualche giorno fa. Cosa, come e quanto cambiare è faccenda di discussione di questi giorni. Il caso Raggi e Appendino ha fatto cullare un’idea: quella di rendere non validi ai fini del computo i mandati da consigliere comunale, spianando la strada alla ricandidatura da sindaco. Un’ipotesi che sembra già aver perso quota. Sia perché non risolverebbe all’origine un problema che investe l’intera classe dirigente nell’ultimo lustro e mezzo, sia perché assomiglierebbe troppo al "mandato zero".

L’incredibile e tafazziana trovata per cui dal conteggio sono stati estromesse le consiliature in piccoli comuni e città, una mossa comunicativa seppellita in un mare di risate, che si è ritorta contro agli estensori. I gruppi parlamentari sono magmatici. La probabile contrazione di seggi che arriverà alle prossime elezioni se unita alla possibilità di un terzo mandato comprometterebbe assai la possibilità di rielezione per i rookies della XVIII legislatura. Senza contare che a essere demolito sarebbe l’ultimo baluardo delle regole fondative del Movimento, dopo che il divieto di fare accordi si è miseramente sbriciolato già all’epoca gialloverde e quello di fare alleanze si è intaccato con le ultime regionali. Tutto cambia e ogni regola vale per il momento in cui vale per i giovani sanfedisti che hanno conquistato gagliardi il potere salvo poi trovarlo comodo e sedercisi.

"È uno dei valori fondanti del nostro Movimento - spiega Luca Carabetta, tra le più valide leve fra i novizi - e il servizio a tempo per poi tornare cittadini normali è uno dei valori che abbiamo sempre rivendicato con i nostri elettori". Carabetta dice di capire la regola che vale per i consiglieri comunali, avrebbe molta difficoltà ad accettare una soluzione di compromesso che circola già da qualche settimana, quella del limite di due mandati sì, ma nella stessa istituzione, sul Parlamento proprio non ci sta: "Non sarei d’accordo, il Movimento ha sempre fatto della diversità la sua forza". Proprio per cercare di salvaguardarla c’è chi propone di alzare l’asticella: alziamo il limite a tre e non a due, dicono gli estensori, nella speranza che mantenere un limite possa mitigare l’effetto dirompente.

La debolezza dell’attuale leadership da un lato rallenta le decisioni, dall’altro favorisce la preparazione del terreno per la svolta. A fare da apripista sarebbero proprio Raggi e Appendino, con un quesito su Rousseau cucito appositamente su di loro, per creare il precedente. Ma per dare il via alle danze si preferisce aspettare gli Stati generali, rinviati a dopo l’estate, probabilmente a buona distanza anche dall’election day delle amministrative, affinché il riverbero di un pronosticabile magro risultato non scuota troppo la discussione già complicata. Il passaggio della rete sarà fondamentale, e nasconde una delle insidie maggiori nel percorso di svolta. Non il voto degli attivisti, tendenzialmente disposti ad accettare le volontà che calano dall’alto, ma l’opinione di Davide Casaleggio.

Il figlio del co-fondatore non è un mistero che sia contrario, anche per il rispetto a una delle trovate del padre che, nel bene e nel male, hanno reso il Movimento una delle realtà politiche più caratterizzanti dell’ultimo decennio. "Certo, perché lui fa il sapiente da lontano ma rispetto a due anni fa non è più il baricentro del potere - spiega una fonte di governo - con una generazione di novizi potrebbe riconquistarlo". Un timore che cova anche nei confronti di Giuseppe Conte. Il premier ovviamente non entra all’interno del dibattito pentastellato, ma nell’attuale dirigenza si registra una sempre più marcata insofferenza nel suo spostarsi in direzione del Pd.

Altra incognita è Beppe Grillo. Il fondatore ha abituato a sparigliare, e un suo tweet ha ancora un peso specifico lì dentro. Per questo la tentazione è quella di non trascinare per le lunghe la situazione, puntando sul rapporto al momento non idilliaco con Casaleggio jr. e sulla sua volontà di assecondare scelte che non destabilizzino l’alleanza giallorossa. Un clima di veleni e sospetti in cui muoversi con estrema cautela. Chi tentasse una fuga in avanti potrebbe bruciarsi sull’altare dell’ostentata ortodossia. La decisione non è stata presa, ma deve anzitutto maturare e mettere radici anche nel corpaccione parlamentare, per evitare scossoni. Nel frattempo però, tutti guardano in quella direzione, quella dell’uno che ne vale almeno tre.

Pietro Salvatori