L’appetito vien mangiando, ma qualcuno rischia una brutta indigestione. Perché tra le migliaia di aziende che hanno chiesto la cassa integrazione Covid - quella messa in piedi dal Governo con il decreto Cura Italia di marzo - ce ne sono centinaia che ne hanno fatto richiesta pur non avendone diritto né tantomeno bisogno. Insomma richieste fittizie, che rischiano di configurarsi come altrettante truffe ai danni dell’Inps, il cervellone che gestisce le domande. In un’ultima istanza come una frode nei confronti degli italiani perché la cassa integrazione è pagata con i soldi pubblici. Secondo i dati di cui Huffpost è a conoscenza, la Direzione antifrode e gli ispettori dell’Istituto di previdenza ne hanno scovato 2.143. In soli due mesi, aprile e maggio. Un numero enorme se si considera che sono poco meno di tutte quelle segnalate nel 2019, pari a circa 2.300. Insieme a migliaia di assunzioni retrodatate per far figurare parenti e affini come lavoratori dell’azienda e quindi beneficiari della cassa integrazione.

QUELLE IMPRESE CREATE AD HOC Negli scorsi due mesi è arrivata all’Inps una raffica di iscrizioni da parte di aziende che gli ispettori definiscono incompatibili con il lockdown. Aziende che non esistevano e che sono state create appositamente per ottenere l’ammortizzatore sociale che il Cura Italia ha fissato in nove settimane (il decreto Rilancio ha poi allungato la disponibilità della cassa integrazione di altre nove settimane, divise in due tranche). Viene definito lavoro fittizio perché il rischio è che dietro queste aziende non ci sia nessuno, che siano cioè inesistenti nella realtà. Più in generale, il numero totale delle aziende a forte rischio di frode sono, come si diceva, 2.135. Dietro queste aziende che si sono iscritte all’Inps ci sono migliaia di comunicazioni, sempre all’Istituto, relative a nuove assunzioni. Fatte in modo retroattivo. Al 17 marzo, data di approvazione del decreto Cura Italia che ha sbloccato la cassa integrazione. E così parenti, affini o in generale soggetti che non lavoravano in quell’azienda sono risultati in servizio. Da invisibili a lavoratori. E l’azienda ha chiesto la cassa integrazione per loro.

COSÌ L’INPS BLOCCA LE IMPRESE A RISCHIO FRODE Ma come hanno fatto la Direzione antifrode e gli ispettori dell’Inps a scovare i casi sospetti? La risposta è Frozen, una metodologia di controllo automatizzata basata su sistemi statistici predittivi, quindi non ex post. In pratica si calcolano degli indici di rischio che permettono di individuare le aziende a rischio frode. Superati certi livelli, che vuol dire certezza, le richieste di queste aziende vengono bloccate. Il sistema è tarato proprio sulle frodi, anche sulla cassa integrazione. Perché quelle relative alla cassa Covid non sono le sole possibili truffe scovate dall’Inps. Un fenomeno diffuso, e già accertato, è quello delle aziende che hanno lavoratori messi in cassa integrazione e però, contemporaneamente, questi lavoratori lavorano in nero per la stessa azienda o per altre aziende. Questi, come i casi di truffa da cassa Covid, rientreranno in un rapporto dettagliato che le strutture dell’Inps stanno già redigendo. Dentro si parlerà anche di quelle aziende e di quei lavoratori che emergono solo perché chiedono la cassa. I controlli sindacali non arrivano dappertutto e il proliferare dello smart working hanno aperto buchi neri che si prova a far riaffiorare. Per capire, anche qui, se ci sono in campo richieste fittizie. I furbetti della cassa integrazione potrebbero spuntare anche qui.

di GIUSEPPE COLOMBO