La scena di Vittorio Sgarbi trascinato di peso fuori dall’aula di Montecitorio è sintesi perfetta di un Parlamento ormai incapace di svolgere il suo ruolo e ridotto a fare notizia solo per fatti che nulla hanno a che fare con il mestiere che dovrebbe svolgere, cioè essere al centro del dibattito politico (in quanto luogo di discussione tra i partiti) nonché strumento principe per la formazione delle leggi.

Certo, il fenomeno ha radici lontane e sarebbe ingiusto addossarne la colpa ai soli protagonisti del presente (anche perché succede in Italia come in altre parti del mondo). Ma è fuor di dubbio che da noi la situazione è davvero preoccupante (o miserabile, a seconda dei punti di vista) e ha subito una accelerazione dopo le elezioni del 2018 al punto che penso si possa dire, non senza dispiacimento, che ci troviamo di fronte alla peggiore legislatura della storia repubblicana. Tre sono gli argomenti principali che mi portano a tale considerazione, che propongo ora prima di giungere a una conclusione.

Il primo è legato al cosiddetto "trasformismo", atteggiamento tanto criticato quanto praticato da molti frequentatori dei palazzi del potere (ormai scarso). Ebbene da questo punto di vista possiamo affermare di aver visto in questi due anni tutto quello che si poteva vedere e forse anche di più. Abbiamo cioè visto nascere un governo M5S-Lega di cui nessuno, ripeto nessuno, aveva parlato agli elettori, men che meno i dirigenti dei partiti interessati. Ma non solo: lo abbiamo visto nascere con tanto di roboanti propositi all’insegna del nuovo che avanza, salvo poi vederlo naufragare dopo 14 mesi (e non fu solo per decisione di Salvini, il cui successo alle Europee portò il movimento a boicottarne ogni iniziativa).

A seguire abbiamo osservato la nascita di un sorprendente (che soavità) governo PD-M5S (con tanto di Leu e Italia Viva), governo la cui compattezza politica misurata sugli anni 2008-2018 è pari a quella tra Prodi e Berlusconi nel decennio precedente: nonostante questo però il governo nasce guidato dal presidente Conte, che, va detto con chiarezza, si sta rivelando abile navigatore di questo mare. Insomma in due anni è capitato tutto e il contrario di tutto, con al centro il movimento che fu di Grillo e Casaleggio e che ora ha preso gusto alle comodità del palazzo (altro che scatoletta di tonno).

C’è poi un secondo aspetto che rende questo Parlamento decorativo nella migliore delle ipotesi o inutile nella peggiore. A metterlo in evidenza sono i mesi che abbiamo alle spalle, i mesi dell’emergenza Covid-19. Una fase inedita nella storia della Repubblica non solo per gli aspetti di carattere sanitario, economico e anche emotivo, ma anche per quelli di tipo istituzionale. Se infatti è risultato evidente a tutti (anche nei momenti di contrasto) il ruolo del governo, delle regioni e (tutto sommato) anche dei comuni, nella dialettica tra istituzioni c’è una vittima illustre ed è proprio il Parlamento. Pletorico nella composizione, sempre in ritardo sull’attualità, capace di riunirsi solo per poche ore a settimana: il Parlamento ha fatto il ruolo della comparsa di quarta fila in tutta questa storia, mentre il governo ha occupato l’intera scena sfornando provvedimenti d’emergenza come fossero piadine a cui le assemblee elettive hanno contrapposto un silenzio assordante combinato con un metodo di lavoro ormai evidentemente fuori dal tempo.

Infine c’è un terzo elemento che mette il Parlamento fuori gioco, ma per trovarlo dobbiamo andare oltre il processo di formazione delle leggi. Dobbiamo guardare a quell’altra funzione importante che, teoricamente, Camera e Senato potrebbero svolgere. Penso al lavoro delle Commissioni d’indagine o d’inchiesta, come quella sulle banche guidata dalla senatrice Ruocco. Ebbene questa commissione nasce con legge all’inizio del 2019 e impiega alcuni mesi per insediarsi ed eleggere un presidente. La norma che la istituisce le assegna compiti vastissimi e di enorme rilevanza, compiti che la porteranno a svolgere lavori di studio e audizione per l’intera durata della legislatura. In questo modo essa giungerà a documenti di sintesi in prossimità delle prossime elezioni, con il risultato che consegnerà il proprio lavoro al nuovo Parlamento che però, essendo espressione di equilibri politici totalmente diversi, finirà per cominciare daccapo.

Morale della favola: anche sul versante del potere d’indagine la legislatura si avvia a un nulla di fatto. Proviamo allora a tirare qualche conclusione, partendo dall’agenda dell’autunno. Avremo il 20 settembre il voto in molte regioni e città e avremo anche un referendum sul taglio dei parlamentari (idea giusta del M5S, in tempo di vita digitale 600 tra senatori e deputati sono più che sufficienti e lavorano meglio di 945). A quel punto sarà necessario fare un bilancio anche politico della legislatura e sarà innanzitutto compito del PD e del suo segretario Zingaretti. Tirare una riga prima del semestre bianco avrebbe un gran senso.

ROBERTO ARDITTI