Parla l’Istat, impossibile smentirla. Si esprime nella maniera che le è congeniale, a modo suo, con numeri e tabelle. L’Istat fa il punto sui consumi in Italia dopo il lockdown. E di grazia, cosa ci dice, punta a dimostrare cosa? Innanzitutto che gli italiani hanno ridotto i consumi, una volta terminati quarantena e lockdown. Momenti spiacevolissimi in realtà mai finiti, a voler leggere e interpretare le notizie in materia di risalita dei contagi che arrivano in questi giorni da alcune regioni italiane. Manteniamo alta la guardia, ma non abbas- siamola neppure quando si parla di consumi.

In Italia l’industria sta provando a rimettersi in moto. Si è rimessa pure a marciare, ma il suo incedere è ancora impacciato, lento, zavorrato. Come dire, non ci siamo, no che non ci siamo. Portati comunque a spendere per bere e mangiare, gli italiani mostrano grande prudenza in tutte le altre manifestazioni. Istat, d’intesa con Confcommercio, in due diverse indagini, descrivono un Paese che non riesce a lasciarsi completamente alle spalle l’incubo coronavirus. E questo è un dato di fatto inconfutabile.

Le attività in Italia hanno quasi tutte riaperto a giugno. Le persone sono tornate in strada, piantano gli occhi nelle vetrine dei negozi, in sospeso tra desiderio e tentazione. Comprano gli italiani, recuperati dall’antica abitudine? Proprio no: il comprare è diventato un gesto controllato. Prevale in ogni caso la prudenza: meno 15,2 per cento nei consumi, il secco responso di Confcommercio. In questo giugno senza precedenti, anomalo come da generale convinzione, le spese generali si sono contratte di quasi il 16 per cento rispetto al giugno 2019. La pandemia era allora presente solo al cinema o nei film horror proposti dalla televisione.

Secondo Confindustria, accorta e fredda partner, ancorchè addolorata, di Istat, "per la filiera turistica, che nei mesi estivi concentra gran parte del fatturato, la distanza tra una situazione normale e quella attuale è abissale". Sì, avete letto bene, l’aggettivo usato è proprio "abissale". In particolare per "abbigliamento e automobili, settori vitali per la ripresa del nostro Paese". Allora come la mettiamo? L’indicatore della miseria nazionale, il Misery Index, arretrato lievemente a maggio 2020, resta comunque a livelli record. E testimonia "una situazione critica del mercato del lavoro, nella so- stanza prima che nelle statistiche". Farmaceutici meno 5.1, industria alimentare e tabacco meno 5,8. Laddove le botte più pesanti, autentiche mazzate, arrivano da coke, prodotti petroliferi (-53), mezzi di trasporto (43,7), industria tessile e abbigliamento (-32,1). Legno e carta registrano un meno 21,1), metallurgia e prodotti in metallo sono precipitati a meno 25,2. I nuovi poveri vengono ora collocati in due altri settori, oltre al turismo e all’abbigliamento. I trasporti e l’industria dello spettacolo. Viene quindi richiesta una "politica di aiuti più coraggiosa, commisurata alla difficoltà del momento" al governo Conte e all’Europa dei negoziati infiniti. "In Italia servono soprattutto sostegni di tipo fiscale".

Il problema vero è che l’Italia, in alcuni momenti e settori, è costretta all’atarchia. La domanda interna torna sostenuta, mentre quella estera va a singhiozzo. I motivi? "I viaggi restano problematici e Paesi ricchissimi come gli Stati Uniti sono piombati nel precipizio Covid-19". I numeri di Istat dicono anche questo: se due anni fa avessimo letto di un fatturato dell’industria e di ordinativi in crescita del 41,9 per cento e del 42,1 "saremmo scesi in strada a festeggiare".

Oggi quei due numeri dichiarano semplicemente che il maggio 2020 delle fabbriche italiane "segna una ripresa coraggiosa rispetto all’aprile del blocco quasi totale". Il confronto con il maggio normale dello scorso anno dà la misura delle difficoltà. Da un anno all’altro, la flessione è pari al 25.9% per il fatturato e addirittura del 34,7 per i nuovi ordinativi".

Le commesse nazionali crescono del 55,9 per cento. Quelle estere invece soltanto del 26,2. Le aziende italiane hanno compiuto sforzi enormi nell’imparare a esportare, ma questa loro acquisita abilità appare oggi in parte palesemente frustrata. Hanno tenuto botta il farmaceutico e l’alimentare, pur accusando cali superiori al cinque per cento sull’anno scorso. Nel burrone senza fondo sono precipitate l’industria della gomma, dei mezzi di trasporto, delle raffinerie. I dati negativi, poderosi col- pi al mento, da irreparabili kappaò, sono quelli esposti. Numeri che preoccupano, seminatori di nuove paure. Non si sa fino a che punto contrastabili. La piena ripresa è un traguardo lontano, e chissà se più raggiungibile.

Franco Esposito