Questa ossessione di demolire a picconate la nostra Costituzione che pervade da un po’ gli animi di molti miei colleghi non la comprendo e non la condivido. Non temo il manganello social che da 20 anni si abbatte su chi dissente dal pensiero unico imposto dal movimento anti-casta.

Temo di più l’ennesima riforma scriteriata della Costituzione, che taglia in maniera drastica la rappresentanza, penalizzando le regioni più piccole, senza essere inserita in un quadro più ampio di riforme, a cominciare da quella elettorale. Abbiamo già visto, per esempio, i disastri prodotti dalla riforma dell’Articolo 5, che come unica conseguenza ha avuto la nascita di un conflitto permanente tra Stato e Regioni. Un altro scempio della democrazia è stata la riforma della norma sulla prescrizione e lo stop dopo la sentenza di primo grado, sia in caso di condanna che di assoluzione.

Il ministro Bonafede assicurava di avere pronta sul tavolo la riforma dei processi. A distanza di nove mesi conditi da polemiche e scioperi, di quella riforma ancora non c’è traccia. Quindi allo stato attuale in Italia da un lato non viene assicurata la ragionevole durata del processo, dall’altro il cittadino rischia di essere prigioniero a vita dello Stato dopo una sentenza di primo grado. Ora rischiamo di fare addirittura peggio con la riforma del numero dei parlamentari: avanza un referendum, con una promessa vaga, ma tutt’altro che certa, di riforma complessiva del sistema.

Da fare quando, non si sa. Proprio come con la riforma della prescrizione. In linea di principio sarei d’accordo sulla riduzione del numero di parlamentari, nonostante l’Italia, lo dicono i dati, sia perfettamente in linea, nel rapporto tra numero di rappresentanti e cittadini, con le altre grandi democrazie europee. Ma perché non accompagnarla, contestualmente, alle riforme del sistema elettorale, del funzionamento di Camera e Senato, delle rispettive attribuzioni?

Che senso ha tagliare, tout-court, di 1/3 la rappresentanza parlamentare se non quello di dare la possibilità a chi in questi anni ha costruito le proprie fortune sulla retorica anti-casta di poter gettare in pasto all’opinione pubblica una vittoria di bandiera? Molti miei colleghi in queste settimane hanno preferito non schierarsi, per timore, probabilmente, che il manganello cui accennavo prima si sarebbe abbattuto su di loro oppure perché convinti che il vento del populismo, ancora dominante, determinerà, come credo, una vittoria del sì al referendum. Io ho deciso di farlo non solo perché non lo temo, ma soprattutto perché sono convinto che una battaglia su un principio non possa essere svilita a battaglia per la difesa di un privilegio. La posta in palio è alta: è la democrazia.

GIUSEPPE FERRANDINO, EUROPARLAMENTARE PD