Caro Direttore,

Nel voto referendario, la conferma della legge che riduce il numero dei parlamentari è venuta da circa il 70% degli elettori. Da questo dato evidente è necessario, dunque, partire, al di là delle personali posizioni di merito, che, per ciò che mi riguarda, è stata e resta contraria. Credo che nel "SI" ci siano molteplici e forse contraddittorie componenti. Da un lato, il clima di avversione per le istituzioni e la classe politica dirigente, dall’altro il desiderio di cambiare e di non vedere più l’assetto istituzionale bloccato, come da troppo tempo accade, avviando un processo di riorganizzazione e modernizzazione. Bene ha fatto, dunque, Zingaretti a dire: "ora avanti subito con la nuova legge elettorale e con gli altri impegni assunti nel patto di governo", per tutelare minoranze, territori e giovani. E poiché parliamo di rappresentanza vera e non di ritocchi, nella mia agenda politica e ideale una delle cose da fare subito è dare rappresentanza a chi è senza rappresentanza, vale a dire ai giovani ai quali non basta essere nati in Italia e avervi frequentato interi corsi di studi per essere considerati cittadini di pieno diritto. Tornando al referendum, all’estero il "SI" è andato oltre ogni previsione, raggiungendo circa l’80% dei voti validi del milione e centomila circa che hanno partecipato: il 23,3% degli aventi diritto, una percentuale forse non disprezzabile viste le difficoltà dovute alla pandemia. In questo senso, dobbiamo riconoscere che poco ha inciso la posizione contraria degli esponenti di tutti gli organismi di rappresentanza, dai COMITES al CGIE e ai parlamentari. E questo già è un serio motivo di riflessione. Per quanto riguarda l’Europa, c’è da dire che il comportamento degli elettori è stato sempre abbastanza omogeneo con quello espresso in Italia e il fatto che i maggiori partiti di riferimento (Lega, Fratelli d’Italia, M5Stelle, PD) abbiano dato ufficialmente indicazioni per il "SI" ha certamente avuto il suo peso. In più, i nuovi emigrati arrivati negli ultimi anni hanno avuto comportamenti certamente omogenei con quelli dell’elettorato italiano. E tuttavia, credo che non saremmo leali con noi stessi e con gli altri se non riconoscessimo che sul voto ha avuto un effetto non secondario un malessere diffuso che esiste anche quando non assume espressioni esplicite. Mi riferisco al disagio dei nuovi emigrati, i cui problemi si sono drammatizzati a seguito della crisi pandemica, agli anziani che si sono sentiti colpiti dall’eliminazione delle pur parziali misure di esenzione di alcune imposte, ai connazionali in genere che trovano sempre maggiori difficoltà ad ottenere i servizi anche più semplici dai nostri consolati, alle famiglie dei ragazzi che frequentano i corsi di italiano per i quali l’anno scolastico non inizia mai puntuale e ogni anno devono ricominciare con le solite difficoltà, e così via. Trascurare questo malessere reale e rinchiudersi in un mero discorso istituzionalistico è sbagliato, significa lasciar covare il fuoco sotto la cenere con il rischio di incendi più gravi. Ecco perché è necessario aprire subito un confronto non solo sulla rappresentanza, sui suoi limiti, sui suoi ritardi e sulla sua riorganizzazione, sapendo comunque che tutto sarà più difficile nel momento in cui gli stessi italiani all’estero sembrano non volerla difendere fino in fondo. È necessario strutturare un confronto permanente soprattutto sui diritti degli italiani all’estero. È quello che finora ho cercato di fare, pur tra disattenzioni e difficoltà, e continuerò a fare finché avrò la responsabilità che gli elettori mi hanno affidato.

ANGELA SCHIRÒ Deputata PD - Rip. Europa