Ho sempre pensato che nella storia dei popoli vi è una connessione stretta tra i modi di lavorare e quelli di pensare. L’economia, la composizione delle fasce sociali, le ricchezze mercantili, le lotte e le rivoluzioni si sono nutrite in gran misura del lavoro e del livello tecnologico, che in differenti epoche hanno identificato lo sviluppo della produzione e le ricchezze.

Mi spiego. Non vi é storicamente una unica forma di lavoro: vi fu il lavoro degli schiavi che alzarono le piramidi e quello degli artigiani, che formarono le corporazioni dei secoli XV e XVI; il lavoro della contracto operis e della contracto operarum dell’epoca romana e il lavoro dei servi della gleba del medioevo; il lavoro di fabbrica e - oggi - il telelavoro. Sono state le tecnologie a definire le diverse forma di lavoro e la loro organizzazione, segnando al tempo stesso il modello sociale del loro tempo.

Faccio un esempio. Il modello dello Stato del Benessere o Welfare State del XX secolo nasce intorno al lavoro di fabbrica e di ufficio, che aveva determinate caratteristiche: un luogo specifico, orari e mansioni definite, salari fissi ed una forte disciplina che partiva dalla Direzione dell’impresa (generalmente le figure del Direttore e del padrone si confondevano) e scendeva - attraverso cariche intermedie - fino agli operai e i semplici addetti. Il sistema costruito per ottimizzare la produzione ebbe due effetti: lo sviluppo dei sindacati e la definizione di un sistema de previdenza sociale.

Nel primo caso, i lavoratori, che normalmente svolgevano mansioni uguali secondo le loro categoría durante tempi predeterminati e con salari fissi, svilupparono interessi comuni e quindi su questi interessi, construirono la solidaritá di classe. Nel secondo caso, il sistema di sicurezza sociale trovó in ognuna delle parti - lo Stato, i datori di lavoro e i lavoratori - i necessari contributi per definire tutele contro gli infortuni e le contingenze della vita. Oggi il lavoro tradizionale tende a scomparire e appaiono nuove forme di occupazione, che privilegiano l’individualismo. Molti lavori promossi dalle nuove tecnologie consentono ad alcuni (coloro preparati al cambio) avanzare, ed altri (quelli che non sono stati capaci di rendersi conto della nuova realtá) retrocedere.

Il mondo del lavoro attuale mostra grandi differenze tra le capacitá e competenze delle persone, e il risultato é l’indebolimento della solidarietá, e in specie della "solidarietá di classe". Anche perché oggi é difficile immaginare il concetto di "classe", in quanto la maggior parte delle prestazioni sono emigrate al settore dei servizi, dove non cé piú posto per "Mimí metallurgico". Le nuove forme di attivitá ci trasferiscono da una dimensione collettiva - e un modo solidario di pensare la societá - a una dimensione individuale, in cui regna il consumatore come espressione egemonica della nostra societá.

"Consumo, quindi esisto" é la nuova affermazione, che ci qualifica como vincenti in una societá, dove non é piú facile costruire solidarietá tra chi ha successo e chi é sconfitto. La solidarietá, costruita sul lavoro, era inoltre sostenuta da una impalcatura di istituzioni e riti, in cui si credeva: il matrimonio, la religione, l’ideología, la politica, la famiglia como idea di permanenza, etc., etc. Oggi riti e istituzioni entrano anche loro in crisi e appaie ovunque la precarietá della coppia, l’indifferenza dell’ideología política e la sostituzione della religione con manifestazioni pseudoreligiose, che poco hanno a che vedere con la cura dell’anima.

Tutto é diffuso ed effimero. Se dicessi ai miei alunni che il vero successo é quello di avere un lavoro fisso durante tutta la loro vita, mi guarderebbero con sospetto, quasi volessi mandarli all’ergastolo. Come diceva il padre di Montalbano - Andrea Camilleri - "la perdita della solidarietà dell’uomo con l’uomo è gravissima, sta cambiando il nostro DNA e non so spiegarmene le ragioni".

Proprio cosí; neanch’io riesco a capirlo. Ma bisogna fare attenzione perché la caduta della solidarietá e gli eccessi di individualismo pongono in crisi la stessa idea di nazione e di democrazia. Infatti, se ci pensiamo bene, gli stati democratici si costruiscono a partire dalla solidarietá e dal consenso dei popoli su certi valori di appartenenza comuni. Quindi non sorprendiamoci del risultato del referendum, né delle politiche qualunquiste di quest’epoca, che hanno como unico scopo quello di sedurre l’individuo, a scapito della comunitá. Il populismo nasce cosí: proprio da una coscienza generalista antidemocrática e individualista, che niente ha a che vedere con la solidarietá. E a proposito di populismo, concludo con una bella definizione, che ho letto proprio ieri: "il populismo é quel sistema che ti taglia le gambe e che tu ringrazi, perché ti regala le stampelle...".

JUAN RASO