Un oramai consolidato adagio della tv generalista dice "Con il cuore!", con la conduttrice che mima, con la mano rivolta verso il seno prosperoso, il battere del muscolo cardiaco. Ed è quasi un mantra che ha contagiato non solo la tv di intrattenimento, ma anche l’agire politico. Che tu sia al governo o che sia all’opposizione, la politica odierna è più preoccupata a parlare al cuore della gente che alla loro testa. E semmai, l’organo interessato può diventare, scendendo di qualche decina di centimetri più giù e a seconda del messaggio che si vuole veicolare, la pancia. Da più parti si sente dire e si legge che viviamo in un periodo complesso, che la realtà delle cose è molto più complicata di come vorremmo che fosse e che, quindi, è necessario creare e veicolare messaggi semplici che però siano capaci di restituire, quasi a un livello subliminale, tale complessità.

Messaggi che non spieghino tutto sino alle viscere delle faccende, ma che nella loro semplicità sintattica – soggetto, predicato e oggetto - e terminologica – "bello", "brutto", "buono", "cattivo" – ne forniscano gli indizi. E anzi, i comunicatori e i social media manager, oramai assurti a un ruolo quasi sciamanico, predicano che più che il coinvolgimento razionale, va ricercato il coinvolgimento emozionale. Il cuore appunto. Un decennio fa nasceva e poi irrompeva la retorica "anti-casta" che, partendo da postulati basilari di protesta, fondava la sua radice gnoseologica nei privilegi e negli agi della classe politica. Questa retorica – che sarebbe stata detta "populista" – fondava la sua essenza nello squilibrio tra chi aveva e chi non aveva. E questo avere coincideva nel potere, nei privilegi e, di conseguenza, nell’occupare una posizione sociale di prestigio.

La sua estrinsecazione stilistica si mostrava per mezzo di una sorta di francescanesimo aggiornato alla contemporaneità, sottolineato da alcuni accorgimenti scenici massicciamente diffusi dai mass media. Il politico che si recava presso i palazzi del potere in autobus, volendo rappresentare la distanza massima dal privilegio insopportabile delle auto blu; quello che indossava i sandali, volendo denunciare l’odioso consumismo della società contemporanea; quello che trascorreva le festività in famiglia in un soggiorno di ordinaria media borghesia meridionale, con tanto di foto veicolata via social, volendosi contrapporre alle mete turistiche della ricca e vomitevole borghesia. Il messaggio che parlava al cuore della gente era: io sono come voi, anche se adesso sono entrato nelle istituzioni. Parlare ai semplici per parlare ai tanti. Questo sembra essere stato il metodo comunicativo del periodo massimamente populista. E si usa il tempo imperfetto perché adesso non c’è più nessun soggetto politico che possa reificare quella retorica con la stessa forza con la quale veniva propugnata dal Movimento 5 Stelle.

Quell’epoca è finita ed è servita, almeno seguendo le dinamiche politiche, a introdurre una nuova classe dirigente non solo nelle istituzioni politiche, ma pure nei consigli di amministrazione delle aziende di Stato, così come nei maggiori mass media nazionali. Una nuova classe dirigente che non ha introdotto, però, una nuova visione della politica, magari aggiornata alla contemporaneità, quanto un’estetica della frugalità che però, una volta arrivata nella stanza dei bottoni, ha presto abbandonato. Perché impraticabile. È un bene che questa estetica sia stata abbandonata. Perché al di là della retorica pauperistica e della messa in scena a suon di sandali di cuoio, di autobus per recarsi al Senato e di festività trascorse in soggiorni dalle pareti verdine, non vi era nulla. E infatti, oggi ne abbiamo la prova. Perché, una volta al potere, quegli stessi che spargevano indignazione nei confronti dei privilegi della casta, oggi hanno ricette economiche di quarant’anni fa.

Andando a ripescare strumenti che hanno grandemente fallito in passato e non hanno creato ricchezza. Sono i continuatori della politica della Cassa del Mezzogiorno, dei fondi distribuiti a pioggia, della povertà considerata come stato permanente dell’esistenza da alleviare con qualche bonus statale, di quella impossibilità a pensare a misure che scuotano la scala sociale del nostro Paese. Una politica che si accompagna alla divina provvidenza. L’unica che potrebbe – se Dio vuole – regalarci un’inversione di rotta. Ma tornando al cuore (e non certo alla mente), oggi rimane difficile continuare a parlargli. Perché se si pretende di parlare al cuore, è necessario che si riesca a farlo innamorare. E invece, sembra sempre più che si voglia parlargli per chiedergli "scusa" e riceverne il perdono.

ENRICO PAZZI