Respinto dai giudici, oscurato dai media e perfino abbandonato dagli stessi repubblicani. Il post voto per Donald Trump si sta rivelando complicato. L'onda blu che ci si aspettava prima del 3 novembre è arrivata molto più lentamente del previsto, ma si sapeva che sarebbe stata una lunga maratona. C'è stato un momento durante la prima notte di spoglio elettorale dove l'attuale presidente in carica era avanti, anche con largo scarto, ma si intravedeva una rimonta democratica all'orizzonte. Così, smentendo quanto riportato dalla sua portavoce, si è presentato in conferenza stampa autoproclamandosi vincitore e denunciando dei brogli che stavano favorendo i dem, arrivando a chiamare in causa perfino la Corte Suprema. Da lì, i suoi passi testimoniati sul suo account Twitter.

L'ennesimo comportamento fuori dagli schemi, questa volta, gli è costato anche l'appoggio di gran parte del suo partito. Se le parole di Mitt Romney ("indebolisce le istituzioni sulle quali si fonda la Repubblica e infiamma passioni distruttive e pericolose") non destano grande scalpore visto che i due erano ai ferri corti da tempo, più rumore fanno quelle del fedele senatore repubblicano Roy Blunt, il quale ha reso noto che la frangia di coloro che non seguiranno il Presidente nel suo ricorso costituzionale, guidata da Mitch McConnell, è molto ampia.

Ma Trump tira dritto ("Gli americani meritano una totale trasparenza. Perseguiremo ogni via legale") ed è tornato a parlare: "Posso dichiararmi vincitore, anche Joe Biden lo può fare, ma decideranno i giudici". Anche se per ora Trump e il suo comitato non hanno ottenuto grandi risultati, la possibilità che per proclamare il 46esimo presidente degli Stati Uniti si debba ricorrere alla giustizia sembrerebbe essere piuttosto solida e concreta. Sia chiaro: questo non dovrebbe spostare più di tanto gli equilibri finora ottenuti. Nel 2016, Trump chiese il riconteggio dei voti in Wisconsin con il risultato di cambiare l'esito di un centinaio di voti. Piuttosto, c'è un'altra domanda che ricorre nelle ultime ore osservando il suo comportamento. Il sistema statunitense prevede che il presidente uscente rimanga alla Casa Bianca per ulteriori 11 settimane: nel momento in cui verrà certificata la sua sconfitta, cosa sarà capace di fare Donald Trump?

Innanzitutto, è bene partire da un punto chiarificatore: richiedendo il riconteggio dei voti, il comitato repubblicano non sta violando alcuna legge. In alcuni Stati americani infatti è possibile avanzare questa richiesta, ovviamente con le dovute riserve. Tutto ciò è ben noto agli avvocati di Trump ed è probabilmente per questo che hanno inviato una serie di ricorsi, fra cui la richiesta di blocco dello spoglio elettorale "finchè non vi sia una significativa trasparenza" sulla procedura, mentre in un altro, già respinto, si chiedeva maggior accesso agli osservatori repubblicani nei seggi elettorali. Per di più, è stato richiesto alla Corte Suprema di accorciare il limite dei tre giorni nei quali è possibile ricevere i voti postali in questo Stato.

Insomma, Donald Trump le sta provando tutte e non da ora. Vanno lette in questo senso le continue accuse di possibili frodi lanciate durante la campagna elettorale, così come la necessità urgente di far eleggere Amy Coney Barrett alla Corte Suprema. Ciò che stupisce è la plateale non accettazione del risultato da parte del tycoon, giudicata fuori dal normale da tutti o quasi. Alcuni hanno avanzato un paragone con lo stallo che si creò durante l'elezione del 2000 tra George W. Bush e Al Gore ma pare una similitudine azzardata: in quel caso, lo scarto dei voti era minimale e i dubbi erano anche riguardo incongruenze amministrative oggettive, a differenza delle incongruenze dichiarate da Trump ancora tutte da verificare. Eppure Trump aveva avvertito che, in caso di sconfitta, avrebbe potuto spingersi a tanto. Certo, tra il dire e il fare dovrebbe intercorrere il ruolo che ricopre ma tutto si può dire tranne che non sia in grado di sorprendere. Quindi, da oggi al 20 gennaio (giorno di insediazione del prossimo presidente), aspettiamoci la qualunque.

L'idea che Trump possa sfruttare questo periodo per portare avanti una politica del tutto personalizzata non è così azzardata. In un'intervista che risale a diversi anni prima del suo arrivo a Washington, quando era ancora conosciuto solo come imprenditore e star della tv americana, Donald Trump si era definito un tipo "vendicativo" con coloro che sono distanti dalle sue idee o che non sposano le sue posizioni. Per questo, secondo alcuni, a rischiare maggiormente possono essere i vari Anthony Fauci, Christopher Wray (direttore dell'FBI) e Gina Haspel (direttrice della CIA), più volte apertamente in opposizione con il loro presidente.

Il timore è che Trump, senza nulla da perdere, possa portare a termine tutti quei progetti, dalla finanza all'immigrazione fino ai rapporti con gli altri paesi, mitigati dai suoi collaboratori durante la sua amministrazione. Da qui alla fine dell'era Trump - se una fine ci sarà, data l'unicità di queste elezioni - ci attendono 75 giorni nei quali è lecito ipotizzare qualsiasi scenario.

Lorenzo Santucci