Si fa in salita il percorso per l'accesso al Recovery fund. Dopo Polonia e Ungheria, infatti, anche la Slovenia si è messa di traverso, contestando l'accordo stipulato nei giorni scorsi tra il Consiglio (a presidenza tedesca) e il Parlamento Ue, sul legame tra l'erogazione dei fondi previsti dal piano europeo da 750 miliardi di euro messo in campo per contrastare le ricadute economiche della pandemia, ed il rispetto delle regole dello stato di diritto. Tale clausola, contestata dai paesi del blocco Visegrad, prevede, infatti, la possibilità che si possa stoppare lo stanziamento delle risorse a quei Paesi (come, appunto, Ungheria, Polonia e Slovenia), ritenuti colpevoli di violazioni di principi fondamentali come la separazione dei poteri e la libertà di espressione e di informazione. Ma "solo un'istanza giudiziaria indipendente può dire che cos'è lo stato di diritto non una maggioranza politica", ha sbottato il premier sloveno Janez Jansa rivolgendosi al presidente della Ue Charles Michel. Parole, le sue, risuonate alla vigilia del vertice dei capi di Stato e di governo europei previsto nella giornata di domani (in videoconferenza). Come Varsavia e Budapest, anche Lubiana chiede, dunque, che lo "stato di diritto" sia sì rispettato ma "senza meccanismi discrezionali non fondati su giudizi indipendenti e su criteri motivati politicamente". Da qui l'invito a ritornare all'accordo raggiunto al vertice di luglio sul quadro finanziario, senza però subordinare l'uso dei fondi allo stato di diritto. "Quelli di noi che hanno trascorso parte della vita sotto regimi totalitari sanno che la deviazione dalla realtà inizia quando ai processi o alle istituzioni vengono dati nomi che significano l'esatto opposto della loro essenza", ha argomentato il premier sloveno. Il nuovo "no" rafforza dunque il freno già imposto al bilancio pluriennale dell'Unione europea ed al pacchetto per la ripresa economica. A dir poco seccata la replica del commissario europeo all'Economia, Paolo Gentiloni, il quale si è comunque detto fiducioso che il "ritardo", venutosi a creare dopo il veto di Polonia, Ungheria ed ora anche Slovenia, "si possa recuperare con un'intesa". Dallo stallo nato dopo il veto dei paesi del blocco di Visegrad, per l'ex presidente del Consiglio "si può uscire con un grande sforzo politico e con un impegno diplomatico, in particolare della presidenza di turno del Consiglio dell'Ue e di tutte le istituzioni europee". E "poi si può uscire con senso di responsabilità da parte di tutti", ha aggiunto Gentiloni. Del resto "i Paesi che hanno messo il veto all'approvazione del bilancio e del fondo di Recovery sono Paesi, come la Polonia e l'Ungheria, che sono tra i principali beneficiari di entrambi questi strumenti. Sia del bilancio comunitario di cui sono beneficiari netti. Sia di Next Generation di cui sono tra i 5-6 maggiori beneficiari", ha rilanciato ancora il commissario europeo. "Hanno in percentuale un contributo da questo fondo maggiore di quello che avrà l'Italia. Non in termini assoluti, ma in termini percentuali. E' interesse di tutti e io sono fiducioso che questo ritardo che in sé è veramente una cosa negativa si possa recuperare con un'intesa che superi questo ostacolo", ha concluso Gentiloni.