Chi tace, tace, ma anche il silenzio ha una voce. E comunque qualcosa vuol dire se, per la prima volta in questo settennato, che pure di momenti complicati ne ha attraversati parecchi, dal Quirinale arriva una ferma consegna del silenzio. E cioè né formalmente, né informalmente viene raccontato, neanche in termini generali, come sia andato l'incontro con Conte, salito al Colle per informare il capo dello Stato sui classici "sviluppi della crisi".

Va bene, non è infondato pesare che a Mattarella non sia piaciuto lo spiegamento di telecamere sotto il Quirinale, con annesso carico di aspettative attorno al colloquio, evidentemente non risolutivo. E che per indole, attitudine e stile avrebbe preferito meno clamore. Però - c'è un "però" – la scelta è pur sempre un'indicazione dell'irritualità del momento. E, con essa, di una difficoltà. Diciamo le cose come stanno: col voto di fiducia la crisi non si è conclusa, non è arrivata a un punto fermo, anzi semmai si è avvitata perché una maggioranza per governare non c'è, né c'è un coerente disegno politico, né la risposta all'esigenza oggettiva del paese, recepita nell'appello dello stesso capo a fine anno: governare.

C'è, come prospettiva, lo stesso film delle ultime 48 ore, che si protrae oltre la chiusura del cinema. E che sarà proiettato anche domani e domani l'altro: il suk, momentaneamente chiuso nella tarda sera di martedì col voto di Ciampolillo, l'ex M5s che voleva curare la xylella col sapone e ora sogna l'Agricoltura come ricompensa alla sua "disponibilità" e riaperto nel vertice di maggioranza di questa mattina. È lì che si è discusso di "rimpasto" e di come moltiplicare pani e pesci per attirare nuovi Scilipoti.

Questa la chiave per "consolidare" la maggioranza. La parola magica è "spacchettamento", in modo da avere più poltrone da ministro, viceministro, sottosegretari, con annessi staff, capi di gabinetto, segretarie, portavoce. Suona così: una maggioranza, che maggioranza non è, punta sulle poltrone per diventare tale. In particolare sull'Udc, secondo la convinzione che, alla fine, i democristiani alla fine cederanno perché, come insegna Clemente Mastella, gli affari migliori si fanno all'ultimo momento. E questo è l'ultimo momento. Perché il loro simbolo è prezioso per formare un gruppo, dove imbarcare i transfughi di ogni schieramento dando ad essi la dignità di un gruppo saldamente "ancorato alla tradizione del popolarismo europeo". E ai ministeri, proprio ora che il Recovery consente capacità di spesa.

Si apprende che a palazzo Chigi, cuore del governo, è il crocevia di un via vai che non fa invidia all'ufficio di Denis Verdini, ai tempi dei responsabili. Renata Polverini, che spiega la sua scelta di andare a sinistra, perché la destra non è più quella di Giano Accame, rispettabilissimo e raffinato intellettuale, ma con un passato nella Repubblica di Salò. Anche Maria Rosaria Rossi, passata alla storia come l'organizzatrice delle "cene eleganti" è stata ricevuta dall'avvocato del popolo. Neanche sulla Treccani si trovano esempi così per comprendere la "nemesi". Di un Movimento, esploso nel paese proprio sulla rivolta "antipolitica" contro il declino del Parlamento dei voltagabbana e del "mercato delle vacche" (copyright di Luigi Di Maio"). Di un partito, il Pd, che, proprio per arginare quella rivolta, considerata una malattia, si faceva promotore del rigore dei comportamenti come presupposto del "primato" della politica.

L'irrisolta crisi di governo sta già tracimando in qualcosa di più, il che forse (è legittimo pensarlo) spiega anche il silenzio di chi, nelle condizioni date, ha scelto di "né aderire né sabotare" concedendo un surplus di tempo a un governo comunque in carica, sia pur azzoppato. Quel qualcosa di più è il declino della funzione della politica nel rapporto col paese che conta i morti mentre si discute di un decreto per moltiplicare i posti di governo e attende i vaccini mentre assiste al trionfo dell'inconcludenza.

Non c'è un solo dossier che si conclude, dai tracciamenti ad Autostrade e neanche la verifica o il rimpasto che, come la rivoluzione per Gaber "oggi no, domani forse, dopodomani sicuramente". Forse tutto questo salverà il governo, nato per arginare il populismo, ma è azzardato pensare che il populismo si combatta ammazzando la politica, senza che arrivi un'onda di ritorno. Tecnicamente, l'eterogenesi dei fini.

Alessandro De Angelis