Da Palazzo Chigi non esce un fiato, le chat del Movimento 5 stelle esplodono. Lorenzo Cesa non è più un vecchio arnese dell'era berlusconiana, come i pentastellati lo avrebbero bollato non più di qualche settimana fa, il segretario di un partito inesistente. Lorenzo Cesa è uno dei possibili perni dell'operazione "responsabili", i tre senatori dello scudocrociato se non sono determinanti per la sopravvivenza del governo poco ci manca, e la notizia deflagrata in mattinata di un avviso di garanzia della procura di Catanzaro per "associazione a delinquere aggravata da metodo mafioso" è stato come tirare un sasso su un vespaio già pericolante.

"Per assurdo tutto questo potrebbe favorire la trattativa", dice un pontiere, che raggiunto a metà mattina ancora non sapeva ben valutare il possibile impatto della notizia sul piano di allargamento della maggioranza. Il ragionamento è questo: con Cesa per ragioni di opportunità fuori dai giochi, e in una condizione di spaesamento generale all'interno del suo partito, potrebbe essere più facile una sorta di tana libera tutti che renda attrattivo il cambio d'aria per i tre senatori che compongono la piccola pattuglia democristiana. "Il problema è che noi con Cesa trattavamo, così viene a mancare un interlocutore politico, ora con chi si parla?".

La situazione si complica, ed è soprattutto il Movimento 5 stelle a ribollire. Fino a qualche mese fa di fronte a un caso del genere (oltre al caso Cesa è stato arrestato anche Franco Talarico, assessore in Calabria e coordinatore regionale dell'Udc) si sarebbero moltiplicati feroci post di attacchi e indignazione, dita puntate con giudizi dati per direttissima su Facebook per demonizzare l'avversario e rimarcare la propria diversità. I social e le agenzie di stampa tacciono. A esporsi, anche per il ruolo istituzionale che ricopre, è il presidente dell'Antimafia Nicola Morra, che si limita a un prudente "grave se uomini dello Stato hanno legami con la mafia".

"A tutto c'è un limite", è il messaggio che più si rincorre negli scambi tra i grillini. Nella war room pentastellata sono convinti che tutto ora sia complicato. Un senatore, parlando di suoi colleghi, allarga le braccia: "Ma tu pensi che l'ala nostra più barricadera ingoierebbe tranquillamente un governo con un partito il cui segretario è indagato per rapporti con la 'ndrangheta? Va bene che stiamo ingoiando tutto, ma siamo pur sempre grillini. Ce lo vedi Lannutti a votare la fiducia?". È Alessandro Di Battista a entrare a gamba tesa, mettendo quella che sembra una pietra tombale su quella che fino a ieri era tra le ipotesi più concrete di allargamento della maggioranza: "Con chi è sotto indagine per associazione a delinquere nell'ambito di un'inchiesta di 'ndrangheta non si parla. Punto".

Eppure a Palazzo Chigi sono convinti che basterebbe un segnale, un piccolo smottamento di Italia viva, qualche altra defezione in Forza Italia: sarebbe la palla di neve che genererebbe quella piccola valanga che permetterebbe di mandare in porto l'operazione. Servono non meno di altri dieci senatori per una sopravvivenza risicata ma non in balia delle onde. Secondo i calcoli di uno che queste cose le mastica forse meglio di tutti, il leghista Roberto Calderoli, nel voto sullo scostamento di bilancio passato quasi all'unanimità il perimetro della maggioranza si è fermato a quota 152. Ecco spiegato il conto, quella decina di senatori che permetterebbero al netto delle assenze e dei senatori a vita una navigazione tranquilla.

Al momento non ci sono, e il timore che l'effetto Cesa blocchi sul nascere l'operazione "costruttori" sono palpabili. Anche perché, su spinta del Quirinale ma anche del Pd, singoli voti estemporanei non garantirebbero i presupposti per andare avanti, serve un gruppo ordinato che entri in maggioranza per sostituire Iv. E al Senato, per la costituzione di quel gruppo, sarebbe fondamentale il simbolo dell'Udc. Ieri era tutto molto complicato, da oggi lo è un po' di più.