Nuova maggioranza cercasi all'ombra di palazzo Chigi. Per la verità "i numeri ci sono...", ma per farla serve "un governo nuovo". Parola di Bruno Tabacci, leader del Centro democratico che questo pomeriggio ha incontrato il ministro degli Esteri (ed ex plenipotenziario grillino) Luigi Di Maio. Sul tavolo della discussione, manco a dirlo, la tenuta del governo giallorosso dopo il sudato voto di fiducia di due sere fa, al Senato. Il tempo stringe, occorre fare presto se si vuole puntellare un esecutivo che, almeno sulla carta, sembra ancora non avere tutti i numeri per andare avanti. Non a caso mercoledì  prossimo si torna nuovamente a Palazzo Madama per un altro, estenuante confronto con il guardasigilli Alfonso Bonafede che presenterà la relazione sulla giustizia. In caso di bocciatura dell'Aula, l'esponente grillino potrebbe anche dire addio alla sua poltrona di ministro. "E' una prova di fuoco e si vedrà quali sono le reali intenzioni", commenta Tabacci. Insomma: l'obiettivo individuato dal leader centrista è quello di allargare il perimetro della maggioranza, proprio per evitare situazioni al limite come quella in programma mercoledì prossimo. Tuttavia, affinché questo accada "occorre un nuovo esecutivo" è il suo parere. Sempre con lo stesso presidente del Consiglio, però. "Ritengo che il presidente Conte sia l'unico punto di equilibrio di questa coalizione" si affretta a precisare Tabacci. E a proposito di maggioranza allargata una larvata possibilità per uscire dall'impasse viene offerta anche da Italia viva, che pure ha aperto la crisi ritirando due ministre e un sottosegretario dalla squadra di governo. Serve "una soluzione politica che abbia il respiro della legislatura e offra una visione dell'Italia per i prossimi anni", affermano i parlamentari del partito di Renzi, che in una nota ribadiscono la loro compattezza, osservando con "preoccupazione lo stallo istituzionale di questi giorni, la difficile situazione sanitaria, i drammatici dati economici del Paese". Subito dopo, però, si dicono disposti a "un confronto privo di pregiudizi". Anche sul nome di Giuseppe Conte. Perché "non è una questione di persone ma di contenuti" spiega una delle firmatarie del documento, la senatrice Gelsomina Vono. Parole che però Alessandro Di Battista rispedisce freddamente al mittente. "Oggi che allontanare definitivamente il renzismo dalla scena politica italiana non è affatto impossibile, credo sia un dovere morale andare fino in fondo" il parere dell'ex leader pentastellato. Di tutt'altro parere il Pd, dove Graziano Delrio fa quasi orecchie da mercante di fronte alla mano tesa dei renziani. "Non metto mai veti. Certo, c'è una ferita aperta che sta sanguinando. Le ferite si rimarginano col tempo. Per questo Conte si è rivolto ai singoli parlamentari. Anche perché il dialogo lo hanno chiuso loro aprendo la crisi in questa maniera" spiega il capogruppo dem alla Camera al Foglio. Non a caso dai corridoi del Nazareno aumenta il pressing per una rapida soluzione della crisi onde evitare, come teme Andrea Martella, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, l'opzione urne che si mostra, di questi tempi, come "una delle evoluzioni di questa situazione". Anche per Andrea Marcucci, presidente dei senatori dem, un ritorno al voto oggi "è un rischio che non si può escludere" anche se si dice sicuro "che tutto il gruppo dirigente del Pd sia consapevole che il ricorso alle elezioni anticipate non sia in alcun modo opportuno". "Serve un progetto strutturato. Le forze europeiste, liberali, popolari, alle quali si è rivolto Conte devono organizzarsi in un gruppo parlamentare. Altrimenti non riusciremo a fare un patto di legislatura che abbia obiettivi precisi" si affretta a rilanciare Delrio. Mercoledì, intanto, in Senato si assisterà ad una sorta di "prova del fuoco", come ha previsto Tabacci. Per il governo, infatti, ma anche per lo stesso ministro Bonafede, come sottolinea Clemente Mastella. "La vedo dura e nulla vieta che possa essere messo da parte un ministro della Giustizia", osserva il sindaco di Benevento, che a chi gli chiede cosa farà sua moglie, la senatrice Alessandra Lonardo (che l'altro giorno ha votato sì alla fiducia per Conte), replica: "E' perplessa. A lei non piace l'idea della giustizia di Bonafede, giustizialista fino alle estreme conseguenze". "Se potrebbe votare no alla relazione del ministro? Non lo so, non vota contro, ma insomma a favore non lo so, è tutto da valutare" è la sua risposta. Insomma: tra caos ed incertezze, il Conte bis prosegue il suo cammino sul ciglio del burrone.