Cinque milioni e mezzo. È questo il numero dei cittadini di Hong Kong (su una popolazione complessiva che supera di poco i sette milioni e mezzo di abitanti) in possesso dei requisiti per richiedere – e ottenere – il BN(O), British National (Overseas) Passport, dal governo di Londra. 

Che apre in questi giorni nel suo consolato a Hong Kong il termine per le domande, ampliando in maniera significativa il numero dei potenziali aventi diritto ai quali concedere un secondo passaporto, una nuova cittadinanza, garantita loro dagli accordi sino-britannici del 1984, quelli che siglarono il definitivo ritorno della ex colonia sotto la sovranità di Pechino, avvenuto il 1° luglio 1997.

Quegli stessi accordi internazionali che avrebbero dovuto garantire agli Hongkonghesi, per i successivi 50 anni, tutte le garanzie democratiche e civili ereditati dai britannici. E che invece la Cina sempre più aggressiva e assertiva di Xi Jinping, ha disatteso e seppellito definitivamente la scorsa estate – ben prima della scadenza del 2047, prevista dai trattati – imponendo a Hong Kong la legge liberticida detta "della Sicurezza Nazionale", scritta in sole cinque settimane e approvata direttamente da Pechino, scavalcando il locale mini-parlamento, il LEGCO – l'unico accreditato a legiferare in materia di Sicurezza – e ignorando qualsiasi direttiva internazionale in materia.

Si apre così – almeno sulla carta – la prospettiva di una fuga in massa dall'ormai ex paradiso democratico in Asia; una fuga che è già iniziata per quelli che hanno già deciso di lasciare, quasi sempre con la morte nel cuore, questa terra cinese che non è davvero Cina. Mentre da Pechino quel regime che, qualche giorno fa, l'analista Minxin Pei, professore di scienze politiche al Claremont McHenna College, scrivendo su Project Syndicate ha definito senza mezzi termini "neo-stalinista", studia (ulteriori) ritorsioni contro il governo di Londra e soprattutto provvedimenti per correre ai ripari e impedire l'esodo.

La prima mossa è stata imporre a tutti i "civil servants", i dipendenti pubblici a Hong Kong, l'obbligo di un "giuramento di fedeltà" alla "patria cinese"; oltre a un (molto meno simbolico) divieto di possedere un passaporto BNO, pena l'immediato licenziamento. Ma la prospettiva è che Pechino – ovviamente imponendo ancora una volta la sua volontà sull'ormai quasi inesistente parlamento locale, peraltro recentemente svuotato da ogni rappresentante dell'opposizione attraverso arresti arbitrari e dimissioni forzate – si spinga ancora più in là, disconoscendo completamente la validità del passaporto "d'oltremare" britannico.

Lo ha chiesto con forza nei giorni scorsi la deputata locale ed ex "ministro" per la Sicurezza di Hong Kong, l'ultra conservatrice Regina Ip Lau Suk-yee, molto nota per le sue posizione xenofobe, ultra nazionaliste e filo-Pechino, che ha proposto il varo di una legge che "metta fine all'ingiustificato privilegio di cui ancora godono, senza motivo, i cittadini di Hong Kong, rispetto a quelli della madrepatria", ha tuonato in un'intervista dalle colonne del quotidiano in lingua inglese, il South China Morning Post. La Ip si riferisce al fatto che i cittadini cinesi non possono avere una seconda cittadinanza, mentre a quelli di Hong Kong – proprio in virtù della loro riconosciuta "unicità", teoricamente garantita dai trattati – questo diritto sarebbe garantito da uno dei primi articoli della Basic Law, la mini-costituzione di Hong Kong, a suo tempo approvata congiuntamente da Pechino e da Londra.

Secondo le stime del British Home Office, a luglio dello scorso anno erano in circolazione a Hong Kong 167.000 passaporti BN(O). Si stima che tale cifra sia salita a 733.000 alla fine del 2020, con un aumento esponenziale pari a oltre il 300%. Dopo che la legge sulla sicurezza nazionale è stata imposta lo scorso anno, la Gran Bretagna ha annunciato un nuovo visto BN (O) che avrebbe permesso a tutti colori quali erano già in possesso del passaporto BN (O) e ai loro familiari a carico, di restare in Gran Bretagna per un massimo di cinque anni, con il diritto di lavorare e studiare e richiedere la cittadinanza dopo sei anni.

Dal 31 gennaio, circa 5,4 milioni di persone, su una popolazione attuale pari 7,5 milioni, potranno richiedere il passaporto che dà diritto automaticamente ai nuovi visti. Ma Londra – non nascondendo ormai in ogni occasione internazionale la sua profonda irritazione per la palese scorrettezza dimostrata dalla Cina nel rimangiarsi gli impegni a suo tempo sottoscritti su Hong Kong - ha anche concesso lo status di Leave Outside the Rules (LOTR) – riconoscendoli di fatto rifugiati politici - agli hongkonghesi in arrivo con lo status BN (O) e ai loro familiari, consentendo loro di rimanere e lavorare nel Paese. Tra il 15 luglio e il 14 ottobre, un totale di 2.116 titolari di passaporto BN (O) e le persone a loro carico hanno ottenuto lo status di LOTR, secondo i dati ufficiali delle autorità britanniche.

Dalla metà dell'anno scorso, tuttavia, migliaia di hongkonghesi hanno già iniziato a lasciare l'ex colonia per trasferirsi in Inghilterra. Si tratta spesso di giovani, molti sono attivisti che hanno preso parte alle proteste del 2019 e temono (giustamente) per la loro libertà e la loro stessa vita. Ma molti tra questi protagonisti di quella che potrebbe assumere le caratteristiche di una "grande fuga", sono spesso professionisti affermati, laureati e benestanti, gente che non ha mai fatto attività politica ma che semplicemente non vuol far crescere i propri figli "in un luogo senza libertà", come hanno raccontato in parecchi al South China Morning Post, che di recente ha raccolto e pubblicato le storie di alcuni di loro. Sono i pochi che hanno accettato di parlare ai giornalisti, pur protetti da nomi di fantasia che ne garantissero l'anonimato, presi in mezzo tra paura, nostalgia e lacrime per aver dovuto abbandonare questa incredibile Città che tutti considerano la loro patria insostituibile, sospesa inesorabilmente tra Occidente e Cina, tra il Capitalismo classico occidentale e il neo-collettivismo capital-comunista: l'inedita formula che Pechino sta ormai portando avanti con decisione.

Con la Gran Bretagna che segnalava ogni giorno decine di migliaia di nuove infezioni da Covid-19 e di conseguenza una disoccupazione interna in aumento vertiginoso, non poteva esserci momento peggiore – per quelli che hanno già deciso di andarsene – per iniziare una nuova vita in un Paese straniero, lontano migliaia di chilometri: un Paese che la maggioranza di loro non aveva nemmeno mai visitato in precedenza.

Il tasso di disoccupazione inglese ha raggiunto il 4,9% nel il periodo da agosto a ottobre dello scorso anno, che corrisponde a 1,69 milioni di disoccupati. Il tasso dovrebbe peggiorare e raggiungere il 7,5% a metà anno, secondo l'osservatorio economico del governo britannico. Alcuni dei nuovi arrivati da Hong Kong hanno ammesso che stavano lottando per trovare lavoro e temevano che i loro risparmi di una vita si sarebbero presto esauriti. Ma quasi nessuno ha detto di rimpiangere la scelta fatta.

Una scelta comunque non indolore, almeno ascoltando il racconto di Cherry Yeung (nome di fantasia, come i seguenti, come abbiamo detto). Oltre tre mesi dopo l'arrivo a Londra, lo scorso ottobre, Yeung, 30 anni, ha inviato più di 100 domande di lavoro. Ha ottenuto un solo colloquio, che alla fine non ha nemmeno potuto sostenere in quanto non ha potuto fornire la prova di un indirizzo di residenza in Gran Bretagna, a causa del ritardo nell'apertura di un conto bancario locale. "Sono terribilmente frustrato. Continuo a fare domande, a mandare curriculum, e vengo costantemente rifiutato ", ha detto." Ho lavorato nel settore della pubblicità a Hong Kong e non ho mai fatto politica, quindi posso usare le mie capacità in qualsiasi paese. Ma l'economia qui è davvero pessima e non so molto della cultura britannica " ha ammesso.

L'aereo di Lisette Chiu per Londra stava già rollando sulla pista dell'aeroporto Check Lap Kok quando le è arrivato un ultimo messaggio: era di sua madre, e diceva: "Mi mancherai. Ti amo davvero. Voglio che lo ricordi sempre". Allora Lisette, 23 anni non è riuscita a trattenere le lacrime. Sua madre l'aveva supplicata di non andarsene, ma alla fine aveva accettato per forza la sua decisione. Laureata in gestione alberghiera, ha detto di temere per la sua sicurezza dopo l'introduzione della legge sulla sicurezza nazionale, poiché aveva preso parte alle proteste, sventolato la bandiera britannica durante le manifestazioni. Lisette possiede un passaporto BN (O) che sua madre aveva ottenuto per lei dopo la sua nascita, nel 1997.

Commentando le dichiarazioni di Regina Ip e la sua proposta di vietare completamente la doppia cittadinanza, ha ironizzato: "Danneggerebbe prima di tutti parecchio gli alti funzionari di Hong Kong, che hanno un secondo passaporto!".

Tra quelli che sono dovuto fuggire da Hong Kong perché esposti mediaticamente nelle proteste, e che quindi non hanno ragione di nascondere la loro identità, c'è Samson Chen, 51 anni, in precedenza assistente dell'ex legislatore Ted Hui Chi-fung, fuggito in Gran Bretagna il mese scorso mentre doveva affrontare una serie di accuse penali derivanti dalle proteste. Chen, che non è sposato, ha detto di aver deciso di andarsene dopo aver capito che stavano per arrestarlo, e che la polizia lo pedinava da settimane.

″È stata una decisione così difficile", ha detto. "Sono nato e cresciuto a Hong Kong, una città per la quale ho lottato con tutte le mie forze, per difendere la nostra democrazia e la nostra libertà, ma mi sono reso conto che ormai – a meno di un poderoso aiuto internazionale che comunque, purtroppo, temo non arriverà mai - contro Pechino siamo tutti diventati delle pulci. Ho capito di non avere altra scelta che separarmi dalla mia famiglia e dai luoghi dove sono nato e ho vissuto tutta la mia vita". Oggi Chen si trova a Manchester, dove ha qualche amico che lo ha aiutato a stabilirsi lì. Spera di trovare un lavoro nella Chinatown della città, dato che non parla molto inglese.

All'aeroporto di Hong Kong, l'anziano padre, 93enne, nel salutarlo è scoppiato in lacrime, distrutto: "Ha pianto, e le sue ultime parole sono state che mi prendessi cura di me. Non immagino di poter tornare a Hong Kong in tempo e mio padre è troppo vecchio. Ho dovuto dirgli addio, so che non lo vedrò mai più".

Marco Lupis