DI PIETRO SALVATORI

Il governo di Mario Draghi ha da essere sostenuto, ma quasi un attivista su due non si è fidato di Beppe Grillo. Rousseau fa registrare percentuali striminzite rispetto a quelle bulgare alle quali le votazioni pentastellate avevano abituato: i sì vincono con il 59,3%, i no si fermano al 40,7%. Una vittoria netta, ma in brusco calo rispetto al 90% che diede il via libera al contratto di governo con la Lega e a quasi 80% che disse sì al Pd. "È una vittoria di Alessandro", commenta un 5 stelle di rango, fotografando perfettamente la situazione alle otto. Alle nove non risponde al telefono. Perché quella situazione semplicemente non esiste più.

L'ex parlamentare si palesa su Facebook e consegna a un video di quattro minuti l'addio: "Accetto le decisioni ma non le digerisco. Non posso far altro che farmi da parte, d'ora in poi non parlerò più a nome del Movimento 5 stelle. Se un domani la mia strada dovrà di nuovo incrociarsi con quella del lo vedremo". L'attacco al quartier generale è martellante. A Otto e mezzo, proprio mentre Di Battista certifica la spaccatura, ecco Marco Travaglio: "Il Movimento si è calato le braghe, non conterà più nulla, Draghi ha intortato Grillo con un ministero supercazzola". Il fondatore vince; il suo totem, la sua aura di invincibilità in un universo di cui è stato per anni motore immobile, vanno in mille pezzi.

Quella di Di Battista è stata l'unica posizione ostinata e contraria in una campagna nella quale tutto lo stato maggiore 5 stelle, dal garante in giù, ha spinto fortissimamente per rimanere in quella stanza dei bottoni nella quale si sono insediati quasi tre anni fa, eppure ha raccolto intorno a sé quasi un attivista su due. Quella scissione che i vertici hanno provato a scongiurare in tutti i modi inizia fin da subito, e nel modo peggiore. E ha buon gioco Matteo Salvini a infilarsi nelle contraddizioni di un "Movimento spaccato", rivendicando il peso dei voti del centrodestra. "Iniziamo proprio bene", commenta sconsolato un esponente del governo uscente.

"Senza Grillo non saremmo dove siamo, il merito è tutto suo" risponde all'obiezione un ministro. Ma l'ex comico sembra aver perso il tocco magico, quel carisma così potentemente attrattivo che è stato sufficiente per anni a indirizzare a destra o a sinistra i 5 stelle senza colpo ferire. La terza giravolta in tre anni è stata sommersa da una valanga di critiche sotto i post, sul blog e su Facebook, di attivisti disorientati e infuriati. Per la scelta, per la gestione caotica del voto, prima annunciato poi rinviato e poi annunciato nuovamente, per il quesito di cui, per dirla con l'eufemismo usato dal senatore Mattia Crucioli, molti non hanno "riconosciuto la legittimità".

"E chissà cosa sarebbe successo se avessimo messo anche l'astensione", si chiede un parlamentare. Già, l'astensione. Proprio su questo si è consumato uno scontro, prima, durante e pure dopo il voto. L'opzione richiesta a gran voce dai contrari a Draghi come Barbara Lezzi raccontano fosse stata caldeggiata anche dallo stesso Davide Casaleggio. Opzione bocciata, soprattutto per le serissime chance di vittoria che avrebbe avuto.

Tra il figlio del fondatore e il capo politico il braccio di ferro è proseguito per tutto il giorno. A pochi minuti dall'inizio del voto, l'imprenditore spiegava: "Qualora vincesse il no sarà necessario definire se la posizione del M5S sarà di voto negativo alla fiducia o di astensione, come chiedono molti senatori". A Roma è montata la rabbia. "Se diamo questo orizzonte in tanti voteranno no", il ragionamento dei vertici. Parte una girandola di telefonate di fuoco, al termine del quale ecco la smentita di Crimi: "La votazione di oggi sarà l'unica sul governo". Poco prima delle 19 è lo stesso Casaleggio a diffondere i risultati: "Sono contento della volontà degli iscritti di far partire il governo". Il capo politico è costretto a inseguire, e diffonde il suo comunicato dopo un quarto d'ora. "Casaleggio ha chiamato Crimi pochi secondi prima di pubblicare il post" racconta una fonte vicina al dossier. È uno scontro di potere che va avanti da mesi, e che si è riacutizzato negli ultimi giorni, quando da Milano hanno stabilito un timing per il voto online di cui molti fra i maggiorenti sono rimasti all'oscuro, uno scontro che ha come cuore il controllo del Movimento. Una spaccatura così netta tra Grillo, che fino all'ultimo ha provato a tenere tutto insieme, e Casaleggio non si era mai vista.

Il sospiro di sollievo collettivo dei vertici ha tuttavia alzato una brezza che ha lambito i Palazzi della politica romana, prima di venire strozzato dalla porta sbattuta da Di Battista. Per ore il timore che dalle urne virtuali uscisse una sorpresa è stato palpabile. Riunioni su zoom, messaggi nelle chat, i pronostici si sprecavano, ma nessuno, forse per scaramazia, aveva pronosticato un successo del no. Vito Crimi ha messo subito le cose in chiaro: "Gli iscritti ci hanno dato un mandato chiaro, il Movimento sosterrà Draghi". Tutto il vertice M5s è uscito in batteria per celebrare il risultato, da Luigi Di Maio a Roberto Fico, passando per Davide Casaleggio.

Ora si teme l'effetto slavina. Nel pomeriggio erano arrivate dichiarazioni rassicuranti, come quella del pasdaran Elio Lannutti: "Mi adeguerò al risultato". Crimi avverte i naviganti: "La democrazia nel Movimento passa da un voto degli iscritti e il voto degli iscritti è vincolante. Questo è un patto sottoscritto da tutti quelli che si sono candidati nel Movimento 5 stelle". I venti di scissioni non portano aria di catastrofe come sembrava poter essere qualche giorno fa, ma lo strappo di Di Battista fa pronosticare più di qualche addio. Tra giovedì sera e venerdì gli anti Draghi si sono dati appuntamento su zoom per coordinarsi. Tra Camera e Senato gli indiziati sono Angrisani, Abate, Agostinelli, Cabras, Costanzo, Crucioli, Forciniti, Giuliodori, Granato, La Mura, Maniero, Mantero, Moronese, Raduzzi, Vallascas, Vanin e Volpi. Il deputato Andrea Colletti ha già annunciato il suo no alla fiducia. Si guarda agli altri big che si sono espressi per il no, da Barbara Lezzi a Danilo Toninelli, passando per l'influente Emanuela Corda. La loro posizione sarà importante per frenare la slavina, Toninelli si smarca: "Rispettiamo il voto degli iscritti". Cala il sipario sul definitivo V-day del Movimento 5 stelle. Da domani sarà un'altra cosa.