di Ugo Magri

 

Per fare un governo di corto respiro, giusto il tempo di presentare in Europa la lista della spesa e poi levare il disturbo, il presidente della Repubblica non sarebbe andato a scomodare un totem come Mario Draghi. Avrebbe puntato su figure meno impegnative. Né si sarebbe complicato l’esistenza con questo strano mix di ministri tecnici e politici: volendo sbrigarsela in fretta, avrebbe compilato una lista di valenti prefetti, onesti magistrati, valorosi generali e grand commis in pensione.​

 

Sergio Mattarella ha incastrato Draghi e ha dato un contentino ai partiti perché spera di aver messo in piedi qualcosa di solido, di duraturo. Ecco, appunto: quanto potrà reggere il governo del presidente? Ci accompagnerà sei mesi, un anno o magari due, fino alla fine di questa legislatura?

 

Primo indizio: il programma di governo. La sua gittata è grosso modo di un anno. Tanto occorrerà (incrociando le dita) per vaccinare l’Italia; più o meno è il tempo che servirà per presentare il piano del Recovery Fund, farlo timbrare in Europa e iniziare ad attuarlo, che resta la condizione indispensabile per incassare il finanziamento Ue. Poi può sempre accadere che, strada facendo, un governo nato per l’emergenza allarghi il suo raggio di azione. Era accaduto nel ’96 con il governo Dini, con sommo scorno di Silvio Berlusconi che non vedeva l’ora di andare a votare. Però al momento nessuno chiede di strafare e tutti saremmo felici di accontentarci. Se taglierà i traguardi additati da Mattarella, Draghi già si sarà guadagnato un busto al Pincio per i servigi resi all’Italia, senza alcun bisogno di trascinarsi fino alla primavera 2023. Anche perché (secondo indizio) l’anno che precede le elezioni è quasi sempre un anno buttato, non c’è più tempo per portare a termine Riforme con la maiuscola, al massimo riformette che servono a sfamare qualche vorace clientela. Tanto è vero che nella Prima Repubblica più d’una volta venne deciso, nella concordia generale, di anticipare le urne proprio per evitare lo strazio di un finale inconcludente. Dunque non sarebbe uno scandalo se pure stavolta si decidesse di tagliare corto tra dodici mesi. Tanto più che, terzo indizio, abbiamo un Parlamento delegittimato dal referendum costituzionale dello scorso ottobre. Il taglio di deputati e senatori varrà dalla prossima legislatura, è vero; ma agli occhi della gente i nostri onorevoli sono per un terzo abusivi, prima toglieranno il disturbo e meglio sarà. Se non ci fosse stato il Covid, e senza i 209 miliardi da incassare in Europa, lo stesso Mattarella li avrebbe mandati tutti a casa senza rimpianti. In questo modo, tra l’altro, sarebbe stato il prossimo Parlamento, nuovo di zecca, a scegliere il suo successore. E qui spunta il quarto indizio: a gennaio 2022 si eleggerà il nuovo presidente della Repubblica.

 

Circola l’ipotesi, molto fondata, che possa trattarsi proprio di Draghi. Nulla impedisce che venga eletto un premier in carica: il vuoto al vertice dell’esecutivo verrebbe provvisoriamente colmato dal ministro più anziano, nella veste di facente funzioni. A quel punto si dovrebbe cercare un altro premier o, più probabilmente, correremmo a votare. E se invece fosse eletto un altro presidente, il governo Draghi che fine farebbe? Per antica consuetudine (ecco l’indizio numero cinque) il presidente del Consiglio corre a dimettersi non appena subentra il nuovo inquilino del Quirinale. Fino adesso, in 75 anni di Repubblica, le dimissioni erano sempre state offerte come gesto di garbo, come squisita forma di galateo, e​ puntualmente respinte. Stavolta però si porrebbe un delicato problema: a dimettersi sarebbe un governo voluto da Mattarella, praticamente imposto alle forze politiche e al Parlamento. Non è detto che il suo successore voglia caricarselo per altri dodici mesi sulle spalle. Più facile che dica a Draghi: ”È stato bellissimo, arrivederci e grazie”.

 

Tirando le somme, cinque convergenti indizi portano a ritenere che questo governo vivrà fino alle prossime elezioni presidenziali, non oltre. A meno che non capiti l’imprevedibile. Ad esempio che il Santo Protettore di Draghi, cioè Mattarella, accetti di farsi rieleggere al solo scopo di prolungare la vita del “suo” governo, salvo cedere il testimone a Super-Mario quando la legislatura si concluderà comunque, nel 2023. Detta così sembra fantapolitica. Oltretutto Mattarella si è sempre dichiarato contrario a una rielezione, l’ha detto ripetuto in tutte le salse; ma ai piani altissimi la voce circola e di vero, forse, qualcosa c’è.