di Giovanni Valentini

 

Da Ciampi a​ Draghi, siamo di nuovo all’“ultima spiaggia”. Cinque anni prima che Carlo Azeglio Ciampi diventasse presidente del Consiglio, il 14 febbraio 1988 L’Espresso​ pubblicò​ in copertina un fotomontaggio con l’immagine dell’allora Governatore della Banca d’Italia, seduto su una poltrona di velluto rosso sullo sfondo di un paesaggio caraibico, sotto il titolo “Ultima spiaggia”.

 

Nel mio editoriale, intitolato a sua volta “Il governo del Governatore”, si auspicava che Ciampi fosse nominato premier di fronte al disfacimento del sistema politico.

E alla crisi della lira che “ballava” sui mercati internazionali. Ma, come si ricorderà, fu​ necessario aspettare il 1993 perché il dottor Ciampi arrivasse a palazzo Chigi.

Quello era il cinquantesimo governo della storia d’Italia, l’ultimo della Prima Repubblica. E il primo a essere guidato da un non parlamentare. L’ex Governatore​ ottenne la fiducia alla Camera il 7 maggio ’93 con 309 voti a favore, 60 contrari e​ 182 astenuti (supportato da Dc, Psi, Psdi, Pri, Pds e Verdi). E al Senato cinque giorni​ dopo con 162 sì, 36 no e 50 astensioni. Rimase in carica fino all’11 maggio del ’94,​ per un totale di un anno e 12 giorni.

 

Quando L’Espresso uscì con quella copertina, Ciampi mi chiamò al telefono e con​ una certa diffidenza mi disse: “Direttore, come lei sa, io non sono abituato a parlare​ con i giornalisti. Ma questo numero del suo settimanale mi ha molto sorpreso. Le​ chiedo solo se è una vostra idea o se avete raccolto qualche rumor negli ambienti​ politici”.

 

Dissi a Ciampi: è solo una mia idea -​ Gli risposi con franchezza che no, non avevamo raccolto alcuna voce, era una proposta che il giornale aveva lanciato di propria iniziativa. Nel tentativo di smuovere la palude della politica italiana.

Quel precedente di trent’anni fa può essere utile oggi per valutare le incognite e le​ aspettative che gravano sul tentativo di​ Mario Draghi.​ Il campione dei “Ciampi​ boys”. A lui il presidente Mattarella ha affidato il compito di formare un governo​ “senza una formula politica”. Diciamo di salute pubblica.

 

E mai l’espressione è stata appropriata come nella situazione attuale, oberata da un’emergenza sanitaria a cui s’aggiunge quella economica e sociale riassunta drammaticamente in due cifre. -8,8%​ di Pil nel 2020. E 444mila posti di lavoro persi nell’ultimo anno, con un trend crescente della disoccupazione su cui incombe la fine del blocco dei licenziamenti a marzo.

 

In tali condizioni, è facile immaginare quali potrebbero essere i contraccolpi internazionali sul piano politico, economico e finanziario, nel caso in cui il Parlamento bocciasse il governo del professor Draghi.

 

Fiducia a Draghi o è una catastrofe -​ Qualcuno ha già preconizzato che sarebbe una “catastrofe per l’Italia”. Al di là delle tensioni e delle polemiche sulla “congiura di Palazzo” che ha fatto cadere ingenerosamente il governo Conte bis. Non​ c’è dubbio che un eventuale fallimento dell’ex presidente della Bce – “l’uomo che ha salvato l’euro e l’Europa” – avrebbe forti ripercussioni sull’immagine e sulla credibilità del nostro Paese.

Ha avuto doppiamente ragione, dunque, chi ha reclamato – anche dal fronte del M5S – che​ questo fosse un esecutivo politico per potergli accordare la fiducia. Non solo perché,​ essendo i Cinquestelle il gruppo parlamentare maggiore, una loro opposizione​ sposterebbe a destra l’asse della politica italiana. Ma soprattutto perché soltanto i​ legittimi rappresentanti del popolo possono garantire la linea di un governo guidato​ da un “super-tecnico” come Draghi. Per non perdere il contatto con il Paese reale e con i bisogni effettivi della società.