Il lavoro di definizione dei progetti del Recovery Plan sta per entrare nel vivo ma, con il passare dei giorni, si amplifica il timore che il Mezzogiorno possa essere ancora una volta privato di risorse ad esso destinate. Si è già discusso molto sulla natura “nordista” del governo Draghi, visto che la maggior parte dei ministri, ed in particolare quelli con le deleghe più importanti, vengono da regioni settentrionali. Premesso che un bravo ministro del Nord è sempre meglio di un cattivo ministro del Sud, e cioè che la provenienza non è garanzia di qualità dell’azione politica, non c’è dubbio che una sensibilità “meridionalista” non avrebbe danneggiato le scelte strategiche che il governo si appresta a fare. È doveroso ricordare tra l'altro che l’Italia ha ottenuto ben 209 miliardi di euro del piano Next Generation EU sui 750 complessivamente stanziati dall’Ue (molto più di altri stati, quasi un terzo del totale) proprio perché ha al suo interno un'ampia area in ritardo di sviluppo. In pratica: se non ci fosse stato il Mezzogiorno, la dotazione per il nostro Paese sarebbe stata molto inferiore. È, quindi, evidente che la gran parte di quei soldi debbano essere spesi a favore delle regioni meridionali. E su questo bisogna vigilare. Poi c’è modo e modo di spendere i soldi. I finanziamenti possono essere diretti, cioè sostenere una singola opera (ad esempio, una linea ferroviaria, la riqualificazione di un’area, etc.), oppure indiretti, come la decisione di riequilibrare gli standard dei servizi essenziali sul territorio nazionale (posti in asilo nido, numero di posti letto negli ospedali, trasporti pubblici, etc.). Anche in questo secondo caso, pur non essendo i finanziamenti stanziati direttamente per le regioni meridionali, sarebbero queste ultime a beneficiarne maggiormente, visto che scontano una cronica inadeguatezza della rete di servizi pubblici offerti al cittadino. Probabilmente, la strada da intraprendere è quella di un mix di finanziamenti indiretti e diretti, in modo da equiparare i servizi su tutto il territorio nazionale ma anche creare sviluppo e nuova occupazione attraverso il varo di cantieri. Nelle scelte strategiche che il governo si appresta a fare, inoltre, un occhio di riguardo, soprattutto per i progetti da calare nel Mezzogiorno, deve essere riservato ai settori della Cultura, della Ricerca Scientifica e dell’Innovazione Tecnologica. Sarebbe un grosso errore sprecare questa enorme massa di risorse che arriva dall’Unione europea senza avere una chiara idea di politica industriale che, per le regioni meridionali, deve necessariamente guardare sia al passato, valorizzando l’enorme patrimonio storico, artistico e architettonico delle regioni meridionali, sia al futuro, puntando sull’economia green, sulle biotecnologie, sulla ricerca di base e applicata. Far crescere il Mezzogiorno conviene anche al Nord. Un aumento del reddito pro capite dei cittadini meridionali, che andrebbe spinto anche con serie politiche di rafforzamento del lavoro femminile, aumenterebbe infatti le capacità di spesa di nuovi consumatori, i quali andrebbero ad acquistare prodotti che, in larga parte, vengono realizzati nelle fabbriche settentrionali. Non va dimenticato, infatti, che la stragrande maggioranza del sistema produttivo italiano, per lo più collocato nel CentroNord, si regge non sull’export ma sul mercato interno. Proprio per questo, finanziare la crescita del Sud significa creare nuovo benessere per tutto il Paese.

DALLA REDAZIONE