Dnque, con l’insediamento di Enrico Letta alla segreteria nazionale del partito, il Pd è destinato a cambiare progressivamente strategia politica. Cioè il suo progetto politico. Un dato su tutti. Il ritorno in campo della suggestione ulivista è destinata a cambiare, e in profondità, il tradizionale campo del centro sinistra. O quel che resta di quel campo. Su questo Letta ha insistito nella sua relazione inaugurale soffermandosi sul ruolo decisivo e determinante che dovrà avere il Partito democratico nella ipotetica ricostruzione di una cultura ulivista. E cioè, una alleanza che veda il Pd perno centrale della coalizione, larga e plurale ma con una regola di fondo: e cioè, la competizione all’interno dell’alleanza. Come, appunto, era l’Ulivo ai tempi della guida prodiana.

Ora, se il progetto politico è destinato a cambiare rispetto alla grigia gestione di Zingaretti tutta subalterna alla deriva populista e anti politica del grillismo, quello di Letta dovrebbe rilanciare l’alleanza tra le forze progressiste e democratiche partendo dal ruolo protagonistico del Pd. Un disegno, quindi, che non può che essere salutato positivamente. Purché, come ovvio e scontato, ci sia un Pd vivo, cioè un partito aperto, realmente e non solo formalmente, plurale e democratico al suo interno. E qui si incrocia l’organizzazione del Pd. Un tema che era già noto a tutti ma che è diventato di pubblico dominio con le dichiarazioni durissime e implacabili del segretario uscente Zingaretti, al punto di “vergognarsi” di un partito caratterizzato solo e soltanto da un correntismo tanto irresponsabile quanto onnicomprensivo che pensa solo al potere e “alle poltrone”. Un sistema correntizio chiuso, impenetrabile e impermeabile come lamentano, del resto, quasi tutti i circoli periferici del partito.

Qui si tratta di intervenire pesantemente e con efficacia. Continuare a dire che le correnti vanno abolite, superate o azzerate non ha alcun senso perché in un partito plurale le sensibilità culturali, o le singole aree ideali, sono necessarie ed indispensabili. Certo, anche nella prima repubblica c’era un grande partito popolare, interclassista e democratico, la Dc, che era caratterizzato dalla presenza delle correnti. Con una piccola differenza, però, e al netto delle degenerazioni che anche in quel partito non mancavano. Nella Dc, infatti, le correnti rappresentavano pezzi di società ben definiti e, normalmente, erano guidate da grandi leader politici e da autentici statisti. Oggi, per fare un solo esempio, se venisse fatto un sondaggio all’interno dei circoli del Pd sulla reale differenza politica e culturale delle molteplici correnti, bande e gruppuscoli vari nel partito, credo che la risposta sarebbe disarmante. Pochissimi, se non nessuno, saprebbe indicare con esattezza le diversità di fondo. Mentre quasi tutti sanno che sono semplici strumenti utili e funzionali all’accaparramento e alla distribuzione del potere. Nel partito e, di conseguenza, all’interno delle istituzioni essendo il Pd un partito con una forte vocazione governista.

Ed è proprio su questo versante che l’ormai famoso “cacciavite” di Enrico Letta dovrà intervenire. Non per fare il notaio delle correnti che attualmente spadroneggiano nel partito a livello nazionale e a livello periferico. Ma per far sì che le tradizionali correnti, che restano comunque una cifra importante a garanzia del pluralismo interno, rappresentino realmente un pezzo reale della società italiana, siano interpreti di una cultura politica e, soprattutto, diventino strumenti organizzativi in grado di elaborare politiche concrete e di governo. Questa era e resta le vera sfida attorno alla quale si gioca il futuro delle correnti e quindi della intera organizzazione dello stesso Partito democratico. Mi sono soffermato sulle correnti perché è noto che dalla soluzione a questo problema dipende la stessa prospettiva politica del Pd. Perché proprio una maldestra organizzazione correntizia è all’origine della crisi strutturale del Partito democratico. Non a caso questo è stato l’elemento decisivo che ha provocato la fine anticipata del mandato di tutti i segretari nazionali del Pd. Ci sarà pure una ragione... Ed ecco perché, proprio su questo versante, l’azione politica di Letta dovrà essere ferma, decisa, rispettosa ma coerente con le enunciazioni fatte sin dal suo insediamento. Verrebbe da dire, “se non ora quando”?.

GIORGIO MERLO