di Franco Esposito

Urlano teatri e teatranti. Mettono in scena la protesta, tra lo sdegnato e l’accorato. Non ce la fanno più, rischiano di scoppiare. Quindi di morire. “Fateci vivere”, il coro forte, voce centrale della mobilitazione generale. Si è verificata, è accaduta nella giornata internazionale del palcoscenico. Proteste a Roma, Torino, Venezia. Il Piccolo occupato. “Sale aperte in sicurezza”, ecco cosa chiede il teatro in Italia, silenziato e schiacciato dalla pandemia. Tredici mesi di patimenti, tutto ebbe inizio a marzo dello scorso anno. Un calvario senza fine.

Appelli accorati e fermi, disperati e lucidi, arrivano da Gassmann e Gabriele Lavia. “Ormai siamo ostaggio delle nostre vite virtuali”, fanno notare artisti e maestranze in tutta Italia, coinvolti nel giorno che doveva essere anche quello della riapertura delle sale, non solo il giorno internazionale del palcoscenico. “Giusto protestare in piazza, stare zitti non serve a nessuno, non porta da nessuna parte”.

Su questo vasto dramma italiano Alessandro Gassman scrive pensieri forti. “Il primo va ai teatranti e solo chi vive di teatro sa cosa voglia dire far parte di questa famiglia. MI mancate, sono nato in teatro e in teatro voglio tornare a casa. A presto amici miei”. Il senso della protesta è tutto in una frase secca, emblematica, significativa. “Il teatro è necessario perché è libertà”.

Gabriele Lavia ha celebrato la giornata internazionale del palcoscenico studiando il copione dello spettacolo che porterà in palcoscenico. Quando, come, dove? “Spero di farlo a sipario alzato. Queste chiusure delle sale sono tanto lunghe quanto inspiegabili”. In che senso inspiegabili? “I teatri sono fra i luoghi più sicuri, dove si può rispettare il distanziamento in sicurezza, grazie a un pubblico che è educato e corretto”. Da qui la convinzione auspicio del noto regista. “Non credo proprio che il teatro possa morire. Ci hanno provato in tanti, ma non ci sono riusciti. E soprattutto non potrà riuscirci il Covid”. Neppure lui, che uccide milioni di persone nel mondo, l’economia di Paesi anche fortemente industrializzati e azzera fiducia e ottimismo, seminando inquietudine, paura, terrore? Lavia una certezza ce l’ha, solo una. “Il teatro è eterno”.

Dramma in musica per le orecchie di Dario Franceschini, ministro dello Spettacolo. “Dramma è poco, siamo attori protagonisti involontari di una tragedia. La morte del teatro in Italia”.

Ma il ministro, cosa dice, come replica, come commenta la vibrante protesta Dario Franceschini? “Gli aiuti al teatro non si fermeranno”, intanto assicura, ma non è questo il punto, e non a questo puntano artisti e maestranze. Il lavoro, il teatro, per loro è vita; servono a poco o niente gli aiuti economici del governo, peraltro risibili nella misura. “In Italia doveva essere questa una giornata di festa e la data della ripartenza”, si premura di sottolineare il ministro. “Purtroppo la grave emergenza sanitaria non lo ha consentito”.

Briciante delusione cancella le parole di Franceschini, trasformandole perfino in vuoti concetti. In Italia le persone che fanno teatro a vario titolo sono allo stremo. Proprio così. “Ma il momento arriverà presto e noi fino a quel momento aiuteremo tutti gli operatori”, promette il ministro del Mibe. “La pandemia è stata l’occasione per intervenire in via emergenziale sulle gravi lacune che il settore soffre da tempo. E stiamo lavorando a un disegno di legge che possa considerare questi aspetti”.

Ma nel mondo del teatro non serpeggia ottimismo. Al contrario permane il pessimismo più cupo. Parole, promesse e argomentazioni del ministro non spargono prospettive minimamente incoraggianti. Il Piccolo di Milano, sui suoi sociali, ha postato il messaggio di Helen Mirren, testimonial della giornata internazionale del palcoscenico. “Gesti di resilienza, in attesa della riapertura”. Pessimista convinto Giancarlo Giannini. “È un disastro. Vivo il teatro, sì, ma il teatro è chiuso”.

Il Piccolo è occupato. E Giannini coglie l’occasione per un appello agli occupanti. “Questo è un luogo simbolo, ci piacerebbe che arrivassero qui i direttori e le persone che lavorano nel mondo dello spettacolo. È un invito a tutto il sistema culturale”.

L’occupazione del Piccolo di Milano sarà portata avanti. Lo scopo è di creare “un parlamento culturale permanente, dobbiamo tornare a essere il primo punto dell’agenda politica”. A Torino i lavoratori dello spettacolo hanno occupato ponte Umberto I. Il portavoce degli occupanti rappresenta l’opinione della base. “È la sedicesima manifestazione che facciamo senza aver ottenuto nulla, se non qualche bonus, un’elemosina”. Da qui la richiesta, ferma anche questa volta: “Chiediamo un tavolo permanente vero e una riforma totale. Abbiamo esaurito la pazienza”.

Vero è, in Italia il teatro è allo stremo. Se continua così ancora un po’, non ci sarà altra soluzione se non il getto della spugna. Gabriele Lavia perdoni l’azzardo personale. Ancora a Milano, davanti all’ingresso chiuso del Parenti, le dichiarazioni d’amore di Pamela Villoresi, Isabelle Huppert, Filippo Timi, e molti altri. A Bologna lo Stabile riapre all’aperto. “Fuori! Il Teatro Fuori da Teatro” è il titolo della rassegna all’aperto con più di cento appuntamenti gratuiti e itineranti. “Il modo per dare un segnale forte sia alla cittadinanza sia agli artisti”.

Proteste a Roma, davanti al Teatro Argentina. Alza la voce anche il Sistina. “Un teatro si riempie quando il cuore della società batte forte, ma non può vivere con la paura di quello che c’è nell’aria. Il nostro cuore tornerà a battere sempre più forte”. A Venezia i lavoratori della Fenice fanno notare il disagio estremo di una condizione non più sostenibile. “Siamo chiusi da un anno e, nonostante tutto, avete sentito il nostro cuore battere con le nostre dirette. Vogliamo tornare a vivere”.

L’incontestabile diritto di chi fa teatro in Italia.