Vivremo una seconda Pasqua in pandemia. Se l’anno scorso eravamo tutti scossi dall’emergenza sanitaria, ma abbiamo saputo reagire con spirito eroico e mostrandoci pronti a fare sacrifici pur di tornare a vivere, quest’anno siamo tutti più stanchi, provati dalle continue restrizioni e soprattutto desiderosi di riappropriarci della nostra libera esistenza. Mai come questa volta auspichiamo la Resurrezione, di Dio come di ogni uomo. È cambiato il nostro approccio psicologico, paradossalmente ci viene chiesto di essere più forti adesso che prima. Nella Pasqua del 2020 eravamo tutti disorientati, in quella del 2021 siamo anche più poveri. Alla pandemia sanitaria si è aggiunta, e noi della Lega avevamo ampiamente lanciato l’allarme affinché si ponesse rimedio, la pandemia economica. Mentre si intensifica la campagna vaccinale, si devono dare risposte a quelle categorie che stanno soffrendo le chiusure, hanno già chiuso i battenti o rischiano di farlo se lo Stato e le Regioni non sapranno sostenerli adeguatamente. “L’anno scorso eravamo più scioccati, quest’anno siamo più provati. E la crisi economica è diventata pesante”, ha detto non a caso Papa Francesco durante l’ultimo Angelus aggiungendo: “In questa situazione storica e sociale, Dio cosa fa? prende la croce, si fa carico del male soprattutto quello spirituale, perché il maligno approfitta delle crisi per seminare sfiducia, disperazione e zizzania. E noi? che cosa dobbiamo fare? Come Maria dobbiamo prendere la nostra parte di sofferenza, di buio, di smarrimento”. Un invito di natura religiosa, che può valere per tutti, a partire proprio da coloro che rivestono responsabilità istituzionali. È una Pasqua amara quella che andremo a vivere nelle nostre famiglie, perché ad una realtà ancora complicata si accompagna una visione del futuro oscura. È lì che dobbiamo intervenire. Con aiuti agli operatori commerciali, i negozianti, le partite Iva, gli artigiani e in generale tutti coloro che non hanno reti e non devono finire nelle mani di qualche usuraio. Dalla sofferenza dobbiamo trarre l’insegnamento: tendere la mano a chi ne ha più bisogno, oggi più di sempre. Al centro del dibattito pubblico e soprattutto delle misure concrete da mettere in campo deve essere il lavoro, in ogni sua forma. Lo psicoterapeuta Paolo Crepet per ha svelato benissimo i risvolti psicologici della pandemia di covid e del lockdown, a cominciare dal perché si è detto addio ai canti dai balconi della scorsa primavera e agli “andrà tutto bene”: “Il sentimento che li ha sostituiti? L’angoscia. Quando finirà la battaglia dei vaccini – siamo i più lenti d’Europa – si concretizzerà l’angoscia per la situazione economica”. Parole di verità, che mai come in questo periodo ci devono fa riflettere ma anche scuoterci. Indicando una direttrice lungo cui muoversi. Il blocco di molte attività produttive e la conseguente quarantena in casa l’anno scorso seguito poi dalle varie restrizioni col criterio dei colori, ha fatto riscoprire l'importanza del lavoro e dell’impresa. Solo il lavoro crea valore aggiunto alla nostra società, solo il lavoro muove l'economia, solo il lavoro rappresenta la fonte di sostentamento e consegna dignità all'uomo. Lo nobilita e lo mobilita. Al netto di chi ha avuto il privilegio o la capacità di aver accumulato un patrimonio, il fulcro di una società il più possibile equa è il lavoro, l’occupazione giusta e piena. Però si devono creare le condizioni affinché questo accada. Aiutare l’altro è un dovere morale, fargli costruire il futuro altrettanto. La solidarietà infatti sana una ferita e colma un vuoto, da quando esiste il welfare state con tutte le sue lacune. Se l’anno scorso e ancora tuttora la priorità è stata curare i pazienti ed evitare nuove morti, adesso è rimettere al centro la questione lavoro. In un rapporto leale e trasparente con lo Stato, volto collettivo di ognuno di noi. A condizione che lo Stato riesca a mostrarsi amico, non nemico.