di DIMITRI BUFFA

Forse Mario Draghi più che a succedere a Sergio Mattarella al Quirinale pensa – o mira – a sostituire la sinora disastrosa Ursula von der Leyen come capo dell’Unione europea. Chi, infatti, è dotato di onestà intellettuale, non può non avere apprezzato la frase liberatoria (nonché l’epiteto) di “dittatore che serve all’Europa per trattenere i migranti” rivolta a Recep Tayyip Erdogan durante la conferenza stampa del premier italiano. Che evidentemente – a costo di qualche complicazione diplomatica – ha deciso di essere un politico, che non le manda più a dire come è uso invece nell’ipocrisia politically correct imperante, specialmente nei partiti di sinistra della Ue. Insomma, sarebbe l’uomo che ci vuole per cambiare verso a un continente di smidollati. Il corollario all’epiteto di “dittatore” è semplice: l’Europa che si aspettava da uno come lui, oltretutto islamista del network dei Fratelli musulmani, rispetto al comportamento verso le donne? Erdogan è colui che ha fatto rimettere il velo, se non il burqa, a tutte le donne turche vanificando la laicizzazione – sia pure fascista – operata a suo tempo da MustafaKemal Ataturk. Una domanda che salta agli occhi è quindi questa: l’Europa che ci è andata a fare in Turchia, rimediando una figura di guano riflessa, per via del comportamento del presidente del Consiglio d’Europa sempre nei confronti della povera Ursula? Qui non è un problema di sedie, cavalleria o di chi rimane in piedi. Il problema è un autocrate islamista che ci ricatta con i migranti e che vuole i soldi. Per trattare con lui senza legittimarlo, né tentare di farlo, dinanzi alla diplomazia mondiale si deve agire come si fa con chi serve per i lavori sporchi. Soldi sì, ma quasi sottobanco. Senza nessuna legittimazione geopolitica. La Turchia, a ben vedere, fintanto che sarà sotto il tallone di Erdogan, andrebbe per lo meno “sospesa” anche dalla Nato. L’Unione sovietica non ci sta più e la Turchia non sarebbe di certo una diga contro l’espansionismo del comunismo cinese. In compenso, è un Paese ostile pronto ad accordarsi con l’Iran contro Israele, a foraggiare il terrorismo palestinese come già ha fatto con l’Isis e a creare problemi ovunque: dalla Siria, che cerca di papparsi in pochi bocconi, alla Libia. Un Paese che si comporta così non è solo ostile, ma oggettivamente anche “nemico”. Ben venga quindi il coraggio, poco diplomatico, di un Draghi di chiamare le persone e le situazioni che queste persone rappresentano con il loro nome. Erdogan è quello che è, cioè un dittatore. E anche chi finge di indignarsi per le parole estremamente dirette di Draghi nei suoi confronti, è quello che è: un vigliacco opportunista