Si mette male. Ci stiamo infilando in un cul de sac pericolosissimo. L’Istat ha finalmente squadernato l’amara verità: nell’anno della pandemia le cose sono andate molto peggio di quanto la politica aveva raccontato fino ad oggi, appoggiandosi a speranze travestite da numeri che erano invece tragiche illusioni. È bastata una piccola novità metodologica per far emergere i disoccupati che non vedevamo: in un anno abbiamo perso un milione di posti di lavoro e il 45% delle imprese è a rischio. Punto. Purtroppo il governo Draghi finora ha deluso dal punto di vista economico. Sta andando troppo piano. Tutto ciò accade mentre nella Nazione si avverte il massimo grado di logoramento economico, psicologico e nervoso, con i primi segnali di una pericolosa crisi sociale. Dopo aver scoperto che le risorse stanziate col decreto sostegni coprono a malapena il 5% del fatturato perso, man mano che passano i giorni il malcontento delle categorie produttive aumenta.

Ma c’è soprattutto un elemento che deve preoccuparci più del resto: l’economia nel Nord Europa sta ripartendo. Lo dicono gli ultimi dati macro. E se l’Europa si spacca, con il Settentrione che riaccende i motori e il Sud che sta in piedi solo grazie allo scudo della Bce e agli aiuti Ue del fondo per finanziare la Cassa integrazione, per l’Italia saranno guai. In questo contesto solo la mutualizzazione del debito potrà salvarci. Anche perché la verità è che le casse sono vuote e continuare a fare spesa pubblica senza restrizioni rischia di porre pesanti ipoteche sul futuro delle prossime generazioni di contribuenti. Tuttavia, se mezza Europa ripartirà, sarà molto più difficile fare passi avanti nella direzione degli eurobond.

Aprile è per il Governo un mese decisivo. Innanzitutto sul Recovery Fund. Attendiamo ansiosi di essere smentiti, ma il rischio che s’intravede è quello di avvicinarci troppo alla scadenza di presentazione del 30 aprile, con un documento che sarà solo un rimaneggiamento parziale di quello del governo Conte 2. Il piano italiano, nella versione attuale, non offre alcuna garanzia che i fondi europei potranno essere spesi nei tempi previsti. Non basta dire che arriveranno più soldi al Sud: occorrono progetti seri e relativi cronoprogrammi.

Il secondo problema è il piano vaccinale. Qui il cambio di passo c’è stato: al posto delle Primule c’è l’Esercito, le Regioni hanno capito che la musica è cambiata e le regole ora ci sono. Il problema, però, resta la mancanza di dosi. Se tutto andrà bene, e non è detto, ad aprile ne giungeranno in Italia solo 8 milioni, più o meno le stesse di marzo. Ma il piano prevede che nel secondo trimestre ne arrivino 50 milioni: vuol dire che fra maggio e giugno ne dovrebbero essere consegnate 42 milioni. Lo speriamo tutti, ma avere dubbi a questo punto è più che lecito. Sullo sfondo s’intravedono problemi enormi. La fine del blocco dei licenziamenti, i fallimenti di tante imprese che già camminavano sul filo del rasoio prima della pandemia, le casse vuote per dare ulteriori sostegni, una nuova esplosione delle sofferenze bancarie, lo spread che torna a salire (spinto anche dalle prospettive inflazionistiche) e il rischio di ricominciare con la giostra infernale.

Per fortuna la Bce ha garantito che fino alla primavera del 2022 continuerà ad acquistare i nostri Btp al livello attuale. Ma difficilmente potrà fare di più. L’Europa del Nord crede che se la parte più produttiva dell’euroarea ripartirà, continuare con un sostegno così forte della politica monetaria potrebbe rivelarsi controproducente. Questo muro va abbattuto o la ripresa resterà un miraggio. L’aiuto dell’Europa finora ha mantenuto i nostri conti in un’area di sostenibilità, ma si è trattato di un soccorso emergenziale. Se l’Ue non farà il salto necessario a garantire sostegni anche in una fase di crescita espansiva, saranno guai seri. Il rischio è che arrivi la patrimoniale.

VINCENZO NARDIELLO