di Franco Esposito

Invasione italiana. Terra di conquista la Cina, particolarmente sensibile al made in Italy. Una prospettiva di enorme fascino, che si sposa con la possibilità di realizzare uno straordinario successo economico e commerciale. Impensabile il mezzo, impiegato e richiesto, per il raggiungimento della conquista del più ambito attualmente dei mercati: il riso: chi l’avrebbe mai detto che proprio i cinesi, ritenuti a ragione i maggiori produttori e consumatori, si rivolgessero proprio a noi, all’Italia, per avere una qualità di riso superiore a disposizione per le loro tavole. I cinesi, per storia e tradizione, amano mangiarlo un po’ cotto, il riso; laddove noi lo preferiamo al dente.

Una donna guida l’offensiva italiana. L’assalto mira al raggiungimento di cittadini e ristoratori cinesi che giù amano i prodotti italiani. Pechino, intanto, ha concesso il via libera all’importazione di riso italiano. Quello prodotto nel cuore della Bassa Vercellese, dalla Sp di Stroppiano, una delle diciassette aziende dell’Italia centro settentrionale autorizzate ad esportare verso la Cina il Carnaroli, il Baldo, il Sant’Andrea, il Vialone Nano, l’Arborio. Il presidente della Sp di Stroppiana è appunto una donna, Maria Grazia Tagliabue.

Le diciassette aziende risaiole si lanciano alla conquista di cinquanta milioni di potenziali clienti dell’alta borghesia cinese. Una moltitudine di persone attratte dai simboli del made in Italy: il prosciutto di Parma, il Prosecco, le borse di Gucci e quant’altro. E adesso anche dal riso italiano.

Il sì di Pechino è sopravvenuto dopo cinque anni di trattative e ispezioni. Partendo dall’ufficio per gli Affari esteri di Pengzhou, città di provincia della Cina, gli ispettori sono arrivati in Italia non per scopi turistici. I rappresentanti cinesi intendevano sapere tutto sui vari processi di trasformazione del risone in riso bianco e le varie fasi della lavorazione e della pulizia del chicco. Ispezioni e studi sono state estese a tutte le aziende del riso che avevano chiesto l’autorizzazione a esportare in Cina. Diciassette fin dal primo momento.

L’autorizzazione a introdurre il riso italiano in Cina rappresenta un momento di grande successo e di notevole orgoglio per l’industria dell’ex Belpaese. Acquisito il parere degli ispettori cinesi, è cominciato il negoziato che ha coinvolto ambasciate e ministeri d’Italia e dell’immenso Paese asiatico. Oltre all’Ente Risi, naturalmente, e all’Associazione Industrie risiere italiane. Necessari cinque anni, ma alla fine la fumata bianca è arrivata.

In Italia, il ministero delle Politiche Agricole ha comunicato che tutte le richieste sono state accettate. Può quindi dirsi centrato pienamente l’obiettivo: conquistata una fetta del mercato cinese, il più grande del mondo per il riso, 150mila tonnellate all’anno su un totale di 500mila. Dovendo inoltre considerare (e la cosa ha un suo grande evidente prestigio) che mai la Cina aveva sperimentato le qualità di risotto che sono un’esclusiva italiana.

La grande opportunità consente di raggiungere fasce altolocate di cittadini cinesi che già conoscono e apprezzano le eccellenze italiane. In particolare quelle nel campo della ristorazione e della gastronomia. L’occasione presenta i crismi dell’incredibile, rappresentando inoltre qualcosa di clamoroso per la zona, la Bassa Vercellese, dove il riso ha una tradizione secolare.

Nata nel 2000, la Sp di Stroppiana unisce due famiglie di lunga tradizione risaiola, gli Scalafiori e i Pastore. L’idea di riunire la parentela all’attività commerciale ha conferito al connubio di dare vita a una conduzione familiare dell’azienda. Ne è conseguita una produzione dedicata al mercato globale.

Sp Stroppiana si è specializzata nella lavorazione e nella vendita del riso sfuso e confezionato per conto terzi. Oltre alla commercializzazione di linee di prodotto con il proprio marchio. Il risone, ovvero la materia prima, proviene dai produttori del territorio vercellese e risicoltori anche di altre province. “Sarà un successo se riusciremo anche solo una piccolissima parte della popolazione totale della Cina, che ha pur sempre un miliardo e mezzo di abitanti”.

Il mercato cinese, nella sua vastità, a questo punto, diventa una possibilità per le aziende e per i gli agricoltori. Questi potranno far conoscere il loro Arborio e il loro Carnaroli dall’altro capo del mondo. L’opportunità conquistata dalla Sp di Stroppiano è concessa anche ad altre quattro aziende vercellesi, quattro di Pavia, tre di Verona, due di Alessandria e Novara, e ad industrie risiere di Modena, Mantova e Ferrara. In definitiva sintesi, il riso italiano è sul punto di invadere un mercato agroalimentare, quello cinese, che conferma di avere notevole interesse verso il made in Italy.