di Fulvio Abbate

Il parcheggio presto fantasma. Provate a immaginare lo spazio necessario per lasciare l’auto sotto casa, d’improvviso venuto a mancare, in pochi istanti sostituito da un ingombro di pertinenza del ristorante altrettanto lì davanti, un corpo, fino al giorno prima, estraneo, destinato a non essere temporaneo.

A breve, si sappia, per molti residenti dei centri urbani, esploderà, la bolla del parcheggio, merito e soprattutto colpa della persistente pandemia, che obbliga a privilegiare gli spazi esterni per ogni tipo di assembramento, sia pure regolato da norme rigorosamente numeriche. Il Covid presenta così un portato problematico ulteriore, riferito allo spazio e alla sua praticabilità quotidiana.

Proviamo però a spiegare la cosa in modo semplice. I locali della ristorazione, poco importa se trattorie pub o pizzerie, presto torneranno a sollevare la serranda, l’assembramento del cliente sarà però possibile e auspicabile soprattutto all’esterno, per rendere il traffico indolore occorreranno allora spazi opportuni, cosiddetti “dehors”. Non vorrei dire sciocchezze, sembra però che i Comuni abbiano dimezzato, se non addirittura eliminato, il prezzo d’occupazione del suolo pubblico, cominciando dai marciapiedi: soluzione necessaria, costi quel che costi, anche in termini di incidenza nello spazio urbano.

Scendendo nel dettaglio, d’improvviso, di recente, a Roma come altrove, c’è modo di scorgere la presenza segnaletica allarmante della fettuccia da transennamento. Un rifacimento stradale o, in subordine, la potatura stagionale? No, semmai una squadra di operai pronta a montare una struttura solida rettangolare, una “vasca” sopraelevata con una paratia perimetrale di metallo e perspex destinata come un’arca a ospitare i clienti.

Nuove presenze simili a certe installazioni della “Minimal art”, pronte, ahimè, a cancellare tra le sei e le sette possibilità di parcheggio; s’intende, a spina. Se solo provassimo a sorvolare dall’alto il reticolo delle strade con un drone, vedremmo molti altri addetti a questo identico genere di montaggio e installazione. Rilevando altrettanto la disperazione, attualmente ancora muta, dei residenti che, almeno a Roma, dove il parcheggio è puro miraggio, vanno giù immaginati tra rabboa furibonda e angoscia.

Non si tratta qui di almanaccare sui costi di un posto-auto all’esterno, tantomeno di un garage coperto, semmai c’è solo da immaginare che a breve, accanto ai vaccini, anche il tema dei parcheggi perduti finirà in agenda politica. Dunque, queste righe hanno unicamente l’intento di segnalare un’evidenza in progress, il resto sarà più chiaro a ridosso della sospirata riapertura della ristorazione.

Osservando quel genere di manufatti funzionali abbiamo citato addirittura l’ambito artistico, e segnatamente le cosiddette “strutture primarie” dei Donald Judd, Carl Andre e Sol LeWitt. Se è così, sarà altrettanto opportuno interrogarsi su quale sia il compito delle avanguardie. Semplice, in arte le avanguardie indicano in anticipo ciò che sarà di noi e del mondo.

All’inizio degli anni Settanta, negli Stati Uniti, un gruppo di architetti denominati SITE, “Sculpture in the Environment”, realizzarono i “ghost parking” con lo scopo, cito, di “dissacrare i miti contemporanei della società dei consumi attraverso un processo di ’de-architettura”. Tra le creazioni di questi, alcuni simulacri proprio di parcheggi, che vedevano affiorare dall’asfalto, come forme aliene, sebbene corrispondenti alla sagoma di una Buick o di una Chevrolet, i volumi delle automobili.

A pensarci bene, quel genere di paradosso costruttivo, apparentemente lì piazzato per puro estro, pensando proprio ai “dehors” che in nome della pandemia proliferano in luogo dei parcheggi che svaniscono, sembra essere la metafora visiva spettrale perfetta di ciò che attende molti residenti degli anni altrettanto cancellati dalle regole del distanziamento.