Stiamo assistendo, da settimane, a una guerra europea dei vaccini, a tratti surreale, tra contenziosi con le aziende produttrici per i continui ritardi e le inadempienze nelle forniture, contrapposizioni tra Stati membri, a motivo del piano di ripartizione dei vaccini e con ex Stati membri, per la mancata reciprocità nelle esportazioni, bacchettate alla Commissione europea, rea di aver portato a casa "cattivi" contratti (la cui responsabilità va, però, equamente condivisa con gli Stati membri), per tacere della saga del vaccino AstraZeneca, concepito come alternativa europea agli statunitensi Pfizer e Moderna e sul quale il nostro Paese ha concentrato inizialmente i suoi acquisti.

In questa confusa dialettica tutta europea, si rischia di perdere di vista la dimensione globale del problema con cui ci confrontiamo da oltre un anno e della sua possibile soluzione. Secondo dati ufficiali dell'OMS, le vittime del Covid-19 nel mondo sono poco meno di 3.000.000 ed i contagiati 137 milioni; il 2% della popolazione mondiale ha ricevuto una vaccinazione completa e meno del 6% ha ricevuto la prima dose di vaccino. Se è vero, come si ripete da più parti, che dalla pandemia e dalla crisi economica e sociale che ne è conseguita "non si esce da soli", occorre in tempi rapidi rendere effettivamente universale l'accesso ai vaccini, anche da parte di quei Paesi che non hanno, né la capacità manufatturiera, né le risorse economiche per sopperire ai bisogni della loro popolazione.

Una vaccinazione diffusa a livello mondiale frenerebbe la circolazione del virus e delle sue varianti, agevolando una ripresa in sicurezza degli scambi e sostenendo su scala globale la ripresa economica e il superamento dell'emergenza sociale. Le iniziative internazionali mese in campo per fornire vaccini e dispositivi medici essenziali ai Paesi più poveri e più vulnerabili – come il programma COVAX, coordinato dall'OMS, a cui partecipa l'Unione europea – non hanno prodotto finora i risultati attesi.

Ciò è dovuto in gran parte al fatto che i livelli attuali di produzione dei vaccini, per tacere dei costi, non sono adeguati al fabbisogno mondiale. Ne sono una riprova l'oggettiva incapacità delle case farmaceutiche, certamente riconducibile anche a scelte strategiche aziendali, di rispettare i contratti sottoscritti e la recente decisione dell'Unione europea, condivisa a livello nazionale, di aprire sul territorio europeo nuovi siti di produzione, sulla base di intese con le principali aziende produttrici. In attesa che la ricerca metta a punto nuovi vaccini, come l'italiano Reithera, sarebbe necessario accelerare e potenziare a livello mondiale la produzione di quelli disponibili, sollecitando alle aziende, che hanno ricevuto ingenti finanziamenti per la ricerca, la condivisione di alcuni diritti di proprietà intellettuale o sospendendo l'esclusiva dei brevetti per il tempo necessario a conseguire l'immunizzazione di una larga parte della popolazione mondiale.

Una proposta in tal senso è stata avanzata già nell'ottobre scorso dall'India e dal Sudafrica, con l'appoggio di oltre 80 paesi in via di sviluppo ed è tuttora in discussione davanti agli organi competenti del TRIPs, l'accordo che regola gli aspetti commerciali della proprietà intellettuale, di cui sono parti 164 Paesi. L'accordo, che riconosce ai titolari di brevetto un'esclusiva d'uso ventennale, prevede alcune flessibilità. L'art. 31 del TRIPs consente alle Parti, per far fronte ad una emergenza nazionale, di rilasciare licenze obbligatorie per l'uso temporaneo di una "invenzione" coperta da brevetto, anche senza il consenso del titolare del diritto, previa corresponsione di una remunerazione adeguata alle circostanze e purché l'utilizzo sia limitato al mercato nazionale.

Di questa deroga, potrebbero dunque valersi gli Stati con adeguata capacità manifatturiera, come il nostro o, anche, l'India. Nel 2005, per contrastare la diffusione dell'HIV-AIDS, è stato introdotto nell'accordo un emendamento che consente l'adozione, a livello nazionale, di licenze obbligatorie sui brevetti per la produzione a basso costo di farmaci essenziali, destinati all'esportazione verso i Paesi più poveri, con nessuna o con insufficiente capacità manifatturiera. La deroga riguarda esclusivamente la produzione di farmaci contro la tubercolosi, la malaria e l'AIDS-HIV. La strada più diretta per promuovere in tempi rapidi un accesso universale effettivo ai vaccini è dunque quella, indicata dalla proposta che viene discussa nell'ambito del TRIPs, di una sospensione generale dei brevetti sui vaccini contro il Covid-19, temporalmente limitata e annualmente rivedibile alla luce delle circostanze.

Malgrado la proposta sia stata formalmente condivisa da un gran numero di Paesi e abbia ricevuto il sostegno di una larghissima e particolarmente qualificata parte dell'opinione pubblica mondiale, da premi Nobel a leader politici, agli stessi Direttori generali dell'OMS e dell'OMC, l'opposizione di alcuni Stati – fra cui, gli Stati Uniti, il Regno Unito, l'Unione europea ed i 27 Membri – ha impedito finora di raggiungere il consensus necessario per la sua adozione. È probabile che, com'è nell'opinione di quei Paesi, i diritti di proprietà intellettuale non siano l'unico o il più importante ostacolo ad una vaccinazione di massa della popolazione mondiale; è tuttavia innegabile che i brevetti, e i costi che ne derivano, costituiscono un ostacolo all'accesso libero e universale ad un rimedio essenziale contro la diffusione del virus e che l'efficacia della campagna vaccinale dipende dalla sua universalità. È dunque opportuno, come la Direttrice dell'OMC ha sottolineato ancora nei giorni scorsi, che gli Stati assumano nell'immediato misure adeguate per rendere effettivo il diritto fondamentale alla salute, a beneficio della loro popolazione e a livello globale. Dal 21 al 23 maggio, l'Italia ospiterà nell'ambito della presidenza del G20 il Summit mondiale sulla salute, in occasione del quale verrà verosimilmente rilanciata la proposta di un Trattato internazionale sulle pandemie.

In attesa che il trattato prenda forma e venga concluso, sarebbe un bel segnale di responsabilità e di concreta solidarietà, soprattutto da parte di Paesi, come il nostro, che nella Carta costituzionale riconoscono e tutelano il diritto fondamentale alla salute, se da quel Vertice partisse una iniziativa forte per aiutare l'uscita in sicurezza dalla pandemia a livello mondiale. A prescindere dalla considerazione del diritto umano alla salute come valore essenziale della comunità internazionale garantito da norme internazionali, secondo alcuni, inderogabili, giova ricordare che, in una rete di mercati interconnessi ed interdipendenti, la ripresa economica, di cui la sicurezza sanitaria è il presupposto, sarà globale o non sarà.

di E. Sciso