di Enzo Ghionni

Il Manifesto ha compiuto 50 anni. Nel 1970 un giornale politico, comunista e autonomo dai partiti politici appariva una scommessa impossibile. Dietro ai fondatori ed alla redazione c'era solo un'ampia platea di lettori che è sempre stato il vero riferimento del giornale. Un circolo sociale, politico, intellettuale che si identificava e si identifica nelle battaglie del giornale, spesso quasi di retroguardia, di una minoranza che è diventata sempre più minoranza ma che è riuscita a non spegnere mai la propria voce. Come, invece, è successo a tutti i giornali di partito e a quasi tutta la stampa politica.

L'Unità, l'Avanti, il Popolo, La Voce Repubblicana, l'elenco dei giornali chiusi nel corso degli ultimi dieci anni è un appello che non esclude nessuno. Tranne un giornale, proprio "Il Manifesto" che, orfano dalla nascita di un padre partito, è riuscito a resistere a cambiamenti e fatti che puntualmente ne mettevano in discussione la sopravvivenza. Dalla caduta del muro di Berlino al desiderio di chiudere i giornali che non stanno sul mercato del leader minimo Vito Crimi, il Manifesto è andato avanti tra mille difficoltà ma con l'orgoglio di un prodotto culturale necessario per difendere l'identità di un pensiero.

Il Manifesto, unico per le splendide ed uniche copertine, una sola foto a tutta pagina con breve titolo, è la dimostrazione che le idee e il pluralismo vanno sostenute con i fatti, non con le chiacchere. Ed il fatto è che possiamo tutti festeggiare il mezzo secolo di un giornale che ha alimentato sempre in maniera originale il dibattito politico e culturale in Italia.