di Massimo Teodori
È stato ampio il coro, pur se con alcune eccezioni, di coloro che si sono complimentati per il pentimento di Luigi Di Maio che ha chiesto scusa per avere orchestrato nel 2016 una campagna diffamatoria contro il sindaco di Lodi incarcerato Simone Uggetti, oggi del tutto scagionato dai fatti allora attribuitigli dall’autorità giudiziaria.Dubito che sia davvero così politicamente rilevante la furbesca dichiarazione del giovane ministro che ha indossato il doppiopetto, dopo essersi ammaestrato ai peggiori vizi di quei politici – trasformismo, opportunismo, carriera individuale, perbenismo amorale – che ha vilipeso a lungo come un coacervo indifferenziato di buoni e cattivi, corrotti e immacolati, colpevoli tutti di essere stati eletti alla principale istituzione democratica del Paese.

I vecchi e nuovi cantori del Di Maio dovrebbero riflettere sulla natura del ministro che è stato e continua a essere il “capo” della brigata “vaffa” con la responsabilità, non l’unica ma certo la maggiore, di quell’imbarbarimento della politica che il pentito dichiara di condannare dopo avere alluso al fatto che, in fondo, così fan tutti.

Se è vero che Di Maio non è soltanto l’accusatore del sindaco Uggetti, ma anche e soprattutto il responsabile – “il capo” – di quella maggioranza in parlamento che ha denigrato le istituzioni, ha insultato centinaia di eletti, ha sostenuto le più pericolose campagne come no-vax, e ha fomentato quel giustizialismo della linea Bonafede-Travaglio che ha provocato centinaia di casi Uggetti, se tutto ciò è vero a me pare difficile poter parlare di “svolta”, senza porsi qualche domanda più generale al di là del caso specifico.

Qualcosa di incomprensibile è accaduto nel rapporto tra i Cinquestelle e gli altri partiti. Mentre il capo chiede scusa per essere al’origine dell’ ”imbarbarimento del dibattito associato ai temi giudiziari”, di non avere rispettato ”i diritti delle persone che sono sempre diritti” e avere partecipato in prima fila a una serie sciagurate campagne per cui tutti i soggetti politici dovrebbero dissipare ogni ombra sul loro operato, mentre tutta questa eredità politica viene denunciata pubblicamente, il Partito democratico continua a spalleggiare il movimento che si è così macchiato elevandolo a interlocutore privilegiato.

Non sono così ingenuo dal non sapere che quando il maggiore gruppo parlamentare è di un partito, M5S, indispensabile per formare la maggioranza di governo, si rendono necessarie anche coalizioni tra diversi per un periodo determinato. Ma nel nostro caso i Democratici, oltre a seguire le follie dei Cinquestelle, si sono adoperati non per distinguersi ed erodere il consenso dell’interlocutore, ma per prospettare alleanze tra simili e magari auspicare una unificazione.

Sarei disposto anch’io a salutare quella di Di Maio come una svolta politica e non una banale furbizia, se il suo pentitismo fosse soggetto alla stessa dinamica del sistema giudiziario: raccontare cioè la verità al fine di ottenere un vantaggio personale solo in cambio della denunzia dei fatti disastrosi compiuti dalla organizzazione che si è capeggiato.

Così non è; e difficilmente sarà.