di Gregorio De Falco

L’Italia è certamente un Paese a forte vocazione manifatturiera, ma è anche in grado di esercitare un’importante attrazione turistica, e per questo necessita di un sistema di trasporto aereo efficace. Tuttavia, a causa di scelte politiche sbagliate si è consentita una apertura senza regole, né coordinamento, di un mercato che è stato creato in gran parte da costi e margini di guadagno fittizi e non sostenuto da una vera domanda di trasporto.

Infatti, milioni d’italiani e di turisti hanno volato per mezzo di vettori low cost i quali decollano e atterrano in tutta Italia, anche da aeroporti che non esprimono alcuna vera domanda se non quella generata in maniera artificiale da tariffe ridotte, sovvenzioni e contributi di co-marketing.

Questa politica è concausa della crisi di Alitalia e, se è vero che da una parte l’incremento di collegamenti diretti offre un contributo all’aumento del numero dei passeggeri, è ancor più vero che così si è causata la desertificazione delle compagnie aeree italiane, che non sono state in grado di reggere questo schema di concorrenza, con la conseguenza della perdita di posti di lavoro, anche riguardanti mansioni pregiate e ricercate, generate da una formazione costosa.

Inoltre, altre gravi conseguenze sono state, e sono, la necessità dell’utilizzo della cassa integrazione, l’aumento delle spese pubbliche, la diminuzione dei più preziosi collegamenti intercontinentali, il depauperamento del mercato e della sua stessa percezione. Al riguardo non si può non osservare che proprio per le conseguenze di questo tipo di politica sbagliata è che è sempre più difficile accettare di pagare un volo di più di quanto non si faccia per una corsa in taxi! A tutto questo si aggiunge una sempre maggiore precarietà nelle condizioni di lavoro.

Dunque di conseguenza non esistono più imprese di trasporto aereo che versino tasse e contributi nel nostro Paese, mentre tanti aeroporti minori drenano risorse pubbliche per distribuirle in contributi a compagnie straniere. Questa situazione non sviluppa i territori facendovi arrivare flussi provenienti dall’esterno mentre si agevolano viaggi verso l’estero.

La storia di Alitalia è l’emblema evidente del disimpegno e della mancanza di visione in un settore strategico. Non si tratta di una “crisi aziendale”. Oggi, come già fatto notare da molti esperti del settore, anche la migliore delle compagnie aeree, posizionata in un contesto del genere, non riuscirebbe a “decollare”.

La riorganizzazione del traposto aereo in Italia è, quindi, urgente e determinante, così come l’adeguamento ed il riordino della legislazione incidente.

Innanzitutto si deve procedere ad un riassetto “a sistema” degli scali aeroportuali, poiché i principali flussi di traffico low-cost tendono in Italia a portare fuori dal nostro paese passeggeri italiani, piuttosto che a far venire turisti dall’estero. Ci troviamo di fronte ad una realtà di grande frammentazione dovuta, come detto, all’eccessivo numero di aeroporti, realtà che non ha eguali nel panorama internazionale, laddove, invece, appare un maggior equilibrio a favore degli hub maggiori.

Si deve tenere conto che ogni singolo aeroporto produce ingenti costi fissi e che il loro riparto non può essere lasciato a soluzioni locali ed estemporanee, a pena di essere esposti alle pretese di alcune compagnie low-cost che non esitano ad avere anche atteggiamenti ricattatori.

Nell’ottica strategica della valorizzazione delle reti e dei flussi, vero bene pubblico e struttura “intangibile”, la realizzazione e dislocazione di un aeroporto avrebbe dovuto essere decisa dopo studi di fattibilità socio-economica, ed obbedire ad un sistema di supervisione regolamentato e in grado di anteporre la valorizzazione e la circoscrizione di bacini di utenza definiti, per valorizzare lo sviluppo dei flussi e delle attività sottese al territorio. Infatti, vi è proprio una carenza di visione strategia e di pianificazione unitaria della rete aeroportuale che porta spesso ad avere una densità di scali aerei con aree dove a volte le distanze tra gli aeroporti risultano decisamente inferiori rispetto a quelle che esistono tra gli scali ferroviari!

Inoltre, attraverso l’intermodalità due o più segmenti di sposamento si devono combinare efficacemente, in modo da realizzare convenientemente un collegamento. È, invece, proprio la mancanza di reti di collegamento all’aeroporto di Milano Malpensa ne ha pregiudicato lo sviluppo, affossando una prima volta Alitalia. Questo problema di accessibilità si perpetua per molti aeroporti italiani, non escluso Fiumicino. L’inesistenza di collegamenti ferroviari diretti efficaci o ad alta velocità è una conseguenza della concezione che nel recente passato vedeva aereo e treno come modalità in concorrenza tra loro, mentre nei Paesi più avanzati è da tempo chiaro il ruolo di mezzo complementare e d’integrazione del treno al trasporto aereo, con reciproci vantaggi.

Sempre conseguenza dell’eccessivo numero di scali aeroportuali è la forte permeabilità del sistema di trasporto aereo del nostro Paese alle compagnie aeree straniere. Ciò ha reso impossibile per Alitalia - così come per tutte le compagnie italiane - presidiare un territorio troppo frammentato.

Inoltre si è spesso evidenziata una conflittualità ed una concorrenza tra città, enti locali, gestori dei vari aeroporti, che non hanno operato il più delle volte per un business sostenibile quanto per interessi territoriali di corto respiro, lottando per accaparrarsi le compagnie aree straniere, che si sono viste regalare una forza contrattuale enorme che in realtà si è spesso manifestato, come ricordato sopra, quale vera e propria arma di ricatto e di minaccia di abbandono dello scalo servito. Questa situazione ha evidenziato anche problematiche di sostenibilità per i vari aeroporti connesse al ritorno degli investimenti effettuati confrontati con costi operativi troppo alti.

Il vantaggio o meno di questa diffusione di aeroporti e lo sviluppo dei flussi generati devono essere analizzati raffrontandoli in maniera comprensiva, secondo un criterio di costi-benefici che sappia ponderare gli interessi strategici della collettività con quelli più localistici. Da questa analisi si evidenzia un aumento quantitativo nell’offerta di traffico aereo cui non corrisponde un’adeguata intercettazione di ricchezza. Quindi, appare chiaro che il mercato aereo italiano è divenuto rapidamente un terreno di conquista per le compagnie aeree straniere che hanno drenato risorse verso l’estero e deviato i passeggeri diretti alle destinazioni di lungo raggio verso hub di compagnie aeree non italiane. A ciò si aggiunga che il bilancio dello Stato italiano ha erogato sovvenzioni alle compagnie low-cost, falsando il mercato.

A volte si è affermato che la crisi italiana sia dovuta ad un mercato aereo in difficoltà, ma si tratta di un’affermazione infondata. Anzi, il mercato continua a svilupparsi a tassi elevati, è ricco e potenzialmente capace di svilupparsi ancora. Ma il mercato italiano non ha una guida, manca di un controllo per così dire “a monte”, un intervento che è necessario e che deve avvenire rapidamente in un’ottica d’insieme ampia e profonda. In pratica:

è necessario integrare le reti di trasporti e di traffico secondo criteri d’intermodalità aggiornati, con, in particolare, lo sviluppo dell’alta velocità ferroviaria e con una particolare preoccupazione per facilitare l’acceso agli hub nazionali, ora estremamente complicato;

si deve anche rivedere l’analisi della rete viaria con una valutazione diversa dall’attuale dando importanza alla considerazione dei bacini d’utenza, della loro ampiezza, della loro valorizzazione, delle loro potenzialità, ecc. Sulla scorta di tali analisi diverrebbe poi più facile stabilire ruolo, qualificazione, importanza e missione dei singoli scali, con 8-10 macro-bacini come numero massimo su tutto il territorio italiano;

vista la evidente inopportunità della concorrenza tra aeroporti vicini, e considerato che i regolamenti europei prevedono l’unicità del soggetto gestore, sarebbe opportuno assegnare ad un solo concessionario la gestione di almeno uno dei macro-bacini sopra ricordati, evitando spezzettamenti perniciosi;

È anche fondamentale inquadrare la rivisitazione dei contratti di programma, così come il sistema di regolamentazione delle tariffe, in un’ottica di riequilibrio di tutta la filiera, con particolare attenzione per gli aeroporti di grandi dimensioni;

la compagnia aerea italiana deve essere posta al centro delle politiche sottese agli accordi bilaterali ed essere considerata vettore italiano “di default”. Inoltre, deve essere realizzata una normativa stringente circa la definizione dei bandi per l’assegnazione delle linee e per gli scali aeroportuali. Deve essere chiaro che il risanamento ed il rilancio della compagnia italiana non può basarsi sulla sola emergenza ma ci deve essere un’ottica integrata d’intervento pubblico sull’intero sistema.

Infine, una articolazione ad hoc dell’amministrazione dovrebbe avere lo scopo di supervisione e controllo, per tracciare le linee guida ed i programmi d’intervento per il settore, coordinandone la regia. Una struttura chiamata a concretizzare l’indirizzo politico dell’azione di rilancio, guidando l’azione di tutti gli operatori, compresi Enac, Enav, Autorità Traposti, ecc.

In generale è chiaro che non basta l’ottica dell’emergenza, che pure va affrontata. Per rilanciare il settore del traffico aereo italiano è necessario mettere in campo un processo integrato fondato sulla ineludibile scelta della presa in carico di un settore strategico primario, da tempo abbandonato all’azione di forze agenti secondo supposti “automatismi di mercato” che tanti danni hanno fatto.

D’atra parte, l’articolo 698 codice navigazione considera gli aeroporti ed in genere i sistemi aeroportuali d’interessa nazionale nodi essenziali “per l’esercizio delle competenze esclusive dello Stato”, che, quindi, è chiamato ad un’azione di guida cui non può abdicare.