di Juan Raso

La notizia ha fatto il giro del mondo. Io l’ho letta su El País di Madrid e sull’omonimo uruguaiano: gli inglesi hanno sbagliato i calci di rigore della finale con l’Italia per colpa di un software. Mi chiedo a questo punto se anche i software e gli algoritmi possono sbagliare. 

Non sono fanatico del calcio, ma confesso che la notizia mi sorprende. Leggo che l’allenatore della nazionale inglese, Gareth Southgate, ha affidato la scelta del quintetto di calciatori per battere i calci di rigore della finale della Coppa Europa all’Intelligenza Artificiale. La scelta é ricaduta – tra gli altri - su Markus Rashford di 23 anno, Jadon Sancho di 21 y Bukayo Saka di 19 (quest’ultimo, mi dicono, non aveva mai battuto un calcio di rigore in tutta la sua carriera da professionista). I tre sono stati incapaci di mettere il pallone in rete.

La domanda é chiara: perché l’allenatore ha affidato - in un frangente cosí delicato – a tre giocatori giovani e con poca o nessuna esperienza quei calci di rigore che definivano la vittoria di una coppa super importante? Leggo che aveva deciso che una decisione così difficile fosse assunta dal Big Data e dagli algortmi di un software, su cui veniva lavorando da tempo.

Ripropongo la domanda: gli algoritmi possono sbagliare? No, sono convinto che gli algoritmi non si sbagliano. Chi si é sbagliato é stato l’allenatore. Come scrivevo due settimane fa su questo stesso spazio, dobbiamo immaginare gli algoritmi come una torta: da una parte abbiamo gli ingrediente (adeguati o no, di qualitá o meno) e dall’altra la torta di crema o di cioccolato. Tra gli uni e gli altri, c’é di mezzo il pasticciere che impasta gli ingrediente. Seguendo l’esempio, in questo caso il pasticciere (cioé l’allenatore) ha scelto male gli ingredienti e i risultati sono stati disastrosi. 

La storia di questi calci di rigore e il software che ha scelto i giocatori merita due considerazioni. La prima é che l'Intelligenza Artificiale non é una vera “intelligenza”: la chiamiamo cosí per un modo di dire, perché quando decide, agisce in modo simile all’intelligenza umana. Ma l’Intelligenza Artificiale non pensa, non intuisce, non ha il dono dell'immaginazione: solo deduce rapidamente conclusioni a partire dai dati che l’hanno alimentata. E’ probabile che l’allenatore alimentó a suo tempo il software con dati (io li chiamo “ingredienti”) come la potenza del tiro, la rapiditá nel correre, il ritmo cardiaco, la dedicazione dimostrata negli allenamenti, etc., ma dimenticó che in una finale in cui si decide una Coppa cosí importante – davanti a milioni di telespettatori – contano anche la serenitá, la concentrazione, l’esperienza del giocatore che in un percorso di pochi metri deve decidere la potenza e la direzione del tiro. 

La seconda considerazione é che gli algoritmi hanno scelto i giocatori piú giovani, perché volontariamente o no, cosí sono stati alimentati, forse a partire anche da una cultura attuale che intende che i giovani contano piú che gli “anziani”. Cosí infatti si alimentano oggi gli algoritmi di molte aziende che cercano nuovo personale: la gioventú, una pretesa rapiditá mentale, l’energía e le competenze digitali contano di piú che valori come l’esperienza, la lealtá, la sagacitá e la riflessione di coloro che hanno superato i 45 anni. Oggi gli algoritmi aziendali discriminano i lavoratori di maggiore etá, perché gli imprenditori – proprio come l’allenatore inglese – preparano l’algoritmo affinché scelga lavoratori piú giovani, senza ricordare che l’intelligenza emozionale e l’esperienza degli adulti contano molto.  

La storia della Coppa Europa ed il software del Sig.  Southgate insegnano molte cose a coloro che guardano con diffidenza la presenza degli algoritmi sul lavoro. In ogni modo, se vi sono sbagli (come nei calci di rigore che vi ho raccontato), dobbiamo ricordare che la colpa non é dell'algoritmo, ma del pasticciere, che in questo caso ha saputo fare un vero “pasticcio”. Grazie algoritmo, grazie Southgate!