di Giuseppe Colombo

 

Chi in queste ore sta compilando la domanda online per candidarsi a diventare un pilota o un assistente di volo di Ita sa già che se alla fine sarà scelto dovrà dotarsi del green pass per salire sugli aerei o per recarsi in ufficio. E questa è già di per sé un'indicazione precisa se si considera che altrove il tema dell'obbligo della certificazione verde per lavorare è ancora tutto da sbrogliare. Ma le certezze finiscono qui: le candidature sono al buio, non si conoscono l'importo dello stipendio e i giorni di riposo. L'azienda ha fatto sapere che sarà applicato il contratto collettivo nazionale di lavoro, ma a condizione che venga rinnovato "con contenuti discontinui rispetto al passato e coerenti con le esigenze del Piano industriale". È nella definizione di questa discontinuità che si gioca non solo il peso delle buste paga dei dipendenti, ma a cascata un pezzo importante della rincorsa di Ita per decollare il 15 ottobre. A bordo saliranno i passeggeri, ma ogni startup industriale deve necessariamente imbarcare anche un elemento di fiducia. A maggior ragione se, come in questo caso, è chiamata a riscrivere una storia, quella di Alitalia, che negli ultimi venticinque anni ha bruciato miliardi di soldi pubblici, ma soprattutto le relazioni interne.

A due giorni dall'attivazione del portale per il reclutamento del nuovo personale, le candidature inoltrate sono più di ottomila e considerando che i posti disponibili sono 2.800 è evidente che la domanda è forte. Ma i numeri da soli non spiegano la complessità di un'operazione che ha tempi strettissimi e che incrocia altre questioni, altrettanto prioritarie. I 52 aerei di Ita decolleranno tra 48 giorni, un orizzonte temporale già di per sé esiguo, ma prima, in meno di un mese, bisognerà definire il perimetro del contratto, avviare le assunzioni, comprare gli asset aviation da Alitalia e partecipare alla gara per il marchio.

Se l'acquisizione del ramo d'azienda è più che altro un passaggio procedurale, tutti gli altri passaggi si inseriscono in quel clima di fiducia che va ricostruito. Prendiamo il marchio tricolore. È presumibile che alla gara partecipino anche altri operatori, fosse altro per un'azione di disturbo che è tipica della competizione nel mercato aereo. Aggiudicarsi il marchio non significherebbe solamente evitare di ricorrere in fretta e furia a una nuova livrea, cioè a una verniciatura inedita degli aerei, e più in generale di spendere 32 milioni per il rebranding. La posta in palio è decisamente più alta: è quell'elemento di riconoscibilità di cui Ita ha bisogno per ammortizzare il ruolo di matricola nel mercato.

E perché il boom delle domande per lavorare in Ita non è di per sé una garanzia di successo lo spiegano anche altri elementi. Innanzitutto tra le candidature ci sono anche quelle dei circa 10.500 dipendenti attuali di Alitalia. Il personale di Ita, come si diceva, avrà inizialmente solo 2.800 dipendenti, che saliranno nel 2025 a 5.750 se l'avventura dovesse andare bene. Moltissimi, quindi, resteranno fuori dalla nuova compagnia. C'è chi allora pensa che sia meglio garantirsi un posto di lavoro, seppure a condizioni peggiori dal punto di vista economico, che rischiare di perderlo o finire in cassa integrazione chissà per quanti anni. Ma è la scollatura tra il processo di reclutamento e i parametri contrattuali ancora da fissare che marca il problema principale.

Vale per l'azienda perché contratti al ribasso generano malcontento, ma vale anche per i lavoratori e per i sindacati. Tutti ricordano il referendum del 24 aprile 2017, quando i dipendenti di Alitalia bocciarono il pre-accordo siglato tra il Governo e le organizzazioni sindacali. Questa volta la storia è diversa nelle dinamiche, ma non nei contenuti: oggi, come allora, il punto di caduta sui tagli agli stipendi, ai permessi, ancora sulla cassa integrazione segnerà la sostenibilità della fiducia dentro la compagnia aerea.

C'è poco tempo e questo non aiuta la ricerca e lo sviluppo di un clima positivo tra le parti. Lunedì i sindacati saranno ricevuti nuovamente dall'azienda, ma dopo le distanze dei primi due incontri anche il terzo si preannuncia tutto tranne che in discesa. Le condizioni che Ita avrebbe elencato per il nuovo contratto, secondo quanto riferiscono fonti sindacali, sono tutt'altro che morbide: tagli degli stipendi tra il 20 e il 25% rispetto al contratto Alitalia, diminuzione dei riposi per il personale di volo (da 10 a 9 giorni al mese), un premio di risultato spalmato sui prossimi anni e che quindi si lega all'incognita di come andrà Ita. E poi c'è il tema degli esuberi. Fabrizio Cuscito, segretario nazionale della Filt Cgil, spiega a Huffpost che per il sindacato è prioritario cambiare il piano di Ita prima ancora che muova i suoi primi passi: "Quasi ottomila lavoratori di Alitalia resteranno fuori da Ita: è doveroso sapere se avranno un ammortizzatore sociale e se potranno essere integrati a breve, ma soprattutto servono subito più di 2.800 dipendenti".

I margini per allargare il bacino iniziale degli occupati c'è, almeno potenzialmente, perché quello che il governo italiano ha negoziato con Bruxelles per ottenere il via libera a Ita ha riguardato il perimetro della nuova compagnia, la composizione dell'azionariato dei tre pezzi (volo, handling e manutenzione) e la diminuzione degli slot. Sul numero dei dipendenti, invece, ci può essere discrezionalità, anche se ovviamente il numero dei lavoratori non può essere uguale a quello di Alitalia. Ma i vertici di Ita non intendono introdurre un ulteriore elemento di precarietà in un percorso già di per sé complesso: i numeri, quindi, non si toccano. Già il fatto che la trattativa tra l'azienda e i sindacati si ritrovi a discutere della richiesta di rivisitare il piano è però indicativo di quanto lunga sia la strada per arrivare a quel clima di fiducia e di consenso auspicabile per far decollare Ita al meglio.

Ma torniamo al contratto, che insieme alle assunzioni costituisce il vulnus delle relazioni tra le parti. Sempre Cuscito pone la questione: "Il recesso di Assaereo mette a rischio l'applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro e il fatto che l'azienda abbia comunicato che procederà con un regolamento aziendale se non si troverà un'intesa con i sindacati rende evidente che c'è il rischio di ritrovarsi con un contratto fortemente peggiorativo". È ovvio che il management di Ita cercherà un accordo con i sindacati fino all'ultimo, comunque al massimo entro il 20 settembre, ma se in caso di fumata nera dovesse procedere poi con un regolamento si aprirebbe fin da subito una stagione di conflittualità. Un rischio che è messo in conto, ma che sarebbe meglio evitare. Il sindacato al momento vuole tenere la discussione dentro il perimetro del contratto collettivo nazionale, come vuole anche l'azienda, ma con condizioni differenti. Un taglio degli stipendi consistente avrebbe un effetto boomerang in termini di consenso per le organizzazioni sindacali, né il boom delle candidature è letto dalle stesse come un lavorare a tutti i costi. Il segretario della Filt Cgil la legge così: "La gente è disperata e disposta a tutto pur di lavorare, ma non si può fare una trattativa giocando sulla disperazione delle persone". Un vocabolario che ha fatto parte della storia dell'ex compagnia di bandiera per tanti anni: qualcuno ci ha visto una delle ragioni della sua decadenza, altri la sua salvezza di fronte ad atteggiamenti predatori dei piani alti. Anche con questo bisogna fare i conti per tirare su la nuova Alitalia.