"È doloroso da guardare. Il fisico guarirà, ma il livido che questo sta causando tra gli afghani sarà più difficile da guarire. Stop a questa follia". Così il noto giornalista afghano Bilal Sarwary, evacuato in Canada le scorse settimane, commenta la fotografia diffusa oggi su Twitter della schiena segnata dalle frustate talebane di uno dei giornalisti di Etilaatroz arrestati ieri mentre seguivano le proteste di Kabul. A questa immagine si accompagnano le decine di video che documentano le violenze ai danni di donne e uomini che anche oggi sono scesi in strada per protestare contro il "nuovo" esecutivo guidato dal mullah Mohammad Hasan, classificato come terrorista dalle Nazioni Unite. 

Queste immagini e le notizie dei sempre più numerosi divieti che paralizzano la vita delle donne e delle minoranze in Afghanistan stridono con le richieste dell'Onu, che sta cercando di ottenere "garanzie scritte" dai talebani prima di riprendere gli aiuti alla popolazione: lo ha reso noto il coordinatore per i soccorsi di emergenza delle Nazioni Unite, Martin Griffiths, che domenica ha incontrato a Kabul il mullah Abdul Ghani Baradar, oggi numero due del nuovo governo. La Cina si distingue per il solito pragmatismo: l'ambasciata cinese a Kabul "sta ancora svolgendo normalmente le sue funzioni. Siamo disposti a mantenere le comunicazioni con il nuovo governo e i leader afghani", questa la risposta del portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin alla domanda sull'ipotesi che Pechino possa riconoscere i talebani. "Ci auguriamo - ha aggiunto - che il nuovo regime ascolti ampiamente le opinioni di tutti i gruppi etnici e le fazioni durante il governo provvisorio e risponda ai desideri della gente del paese e della comunità internazionale. Abbiamo notato che la parte afghana ha sottolineato che tutte le persone trarranno beneficio dal nuovo regime".

Il punto è che il dialogo con gli ultrà talebani al governo è inconciliabile con qualsiasi discorso sui diritti e le libertà delle donne afghane, dato che lo smantellamento delle loro conquiste è uno dei punti programmatici del nuovo Emirato. All'ordine di coprirsi il corpo e il volto e alle limitazioni su lavoro e istruzione, da oggi si è unito anche l'ordine di non praticare sport: una rapida discesa verso un baratro contro cui migliaia di afghane continuano a protestare, rischiando la vita come chi prova a documentare.

Tutto ciò pone l'Occidente in una posizione sempre più scomoda: come rapportarsi a un governo che è esattamente il contrario rispetto alle rassicurazioni della prima ora?

La squadra di governo – composta da soli uomini, quasi tutti di etnia pashtun, più della metà presenti nella lista delle sanzioni Onu, tra cui spicca per impresentabilità il ministro dell'Interno Serajuddin Haqqani, su cui pende una taglia da cinque milioni di dollari dell'Fbi – è ora sul tavolo dei leader mondiali, che in formati e alleanze diverse si trovano a discutere su quale posizione adottare e quali passi intraprendere per evitare l'annunciata catastrofe umanitaria, con 14 milioni di persone in marcia verso la fame.

Dal Panjshir ciò che resta della resistenza anti-Taliban lancia un disperato appello alla comunità internazionale a non riconoscere un governo "illegale". Ma mai come in questo caso la comunità internazionale è divisa, confusa, frammentata in tanti formati che riflettono diversi interessi e priorità. La giornata di oggi ne è un esempio lampante: nelle stesse ore in cui gli Stati Uniti convocano una riunione virtuale con i ministri degli Esteri di una ventina di paesi alleati su che linea prendere con i nuovi padroni di Kabul, un altro meeting virtuale riunisce i ministri dei paesi confinanti con l'Afghanistan - Pakistan, Cina, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan - con Islamabad azionista di maggioranza (secondo diversi esperti, l'arrivo a Kabul del capo dell'ISI, la branca più potente dei servizi di intelligence pakistana, è stato decisivo per lo sblocco delle trattative del nuovo governo).

Altri formati e altri contesti si susseguiranno nei prossimi giorni, a cominciare dalla conferenza internazionale sull'Afghanistan convocata dalle Nazioni Unite per affrontare il tema degli aiuti umanitari. Si proseguirà il 16 e il 17 settembre a Dushanbe, capitale del Tagikistan, dove l'Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, composta da otto membri, si incontrerà per discutere della crisi: ne fanno parte Cina, Russia, India, Pakistan, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan. All'incontro parteciperà anche il presidente iraniano, Ebrahim Raisi. Poi sarà la volta dell'Assemblea generale della Nazioni e infine – forse – del G20 speciale a cui sta lavorando la presidenza italiana.

Se i connotati fortemente estremisti del nuovo governo talebano sono un problema per tutti, il tipo di sfida cambia da paese a paese. Per i paesi confinanti e il più ampio asse delle autocrazie, i problemi principali sono legati ai rischi di instabilità e terrorismo regionale. Per tutti la priorità è evitare che l'Afghanistan torni a essere la base del terrorismo islamico, ma gli esperti concordano nel ritenere che, almeno nell'immediato, i rischi maggiori si concentrino nella regione. Gli Stati Uniti e gli alleati della Nato, dopo il precipitoso ritiro di fine agosto, sono nella posizione scomoda di chi può avanzare ben poche pretese, come i talebani hanno reso molto chiaro nello scegliere una compagine di governo che ignora tutte le raccomandazioni occidentali. Come osserva Michael Kugelman, vicedirettore del Programma Asia presso il Wilson Center, "il governo talebano comprende leader della rete Haqqani - per lungo tempo il principale nemico degli Stati Uniti in Afghanistan - e altri precedentemente detenuti a Guantanamo. È quasi come se uno degli obiettivi principali dei talebani nel mettere insieme questo governo fosse semplicemente quello di 'trollare' gli Stati Uniti".

Un mix di preoccupazione e cautela ha caratterizzato i primi commenti dell'Occidente alla formazione del nuovo governo afghano. Gli Stati Uniti si sono detti "preoccupati" per la composizione del governo, ma hanno ribadito di volerlo giudicare dalle sue azioni. Funzionari statunitensi hanno sottolineato che qualsiasi riconoscimento ufficiale di un governo talebano è lontano. Il segretario di Stato Blinken ha affermato che Washington lavorerà con gli alleati per esercitare una leva diplomatica ed economica in Afghanistan anche dopo la fine della più lunga guerra degli Stati Uniti.

L'Unione Europea ha criticato il governo ad interim formato dai talebani, definendolo né "inclusivo" né "rappresentantivo" della diversità etnica e religiosa del paese. "Questo non appare come la formazione inclusiva e rappresentativa della ricca diversità etnica e religiosa dell'Afghanistan che speravamo di vedere e che i talebani avevano promesso nelle ultime settimane", ha dichiarato un portavoce Ue in una nota. Il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas, co-host del summit dei 20 assieme a Blinken, ha espresso scetticismo: "l'annuncio di un governo di transizione senza la partecipazione di altri gruppi e la violenza di ieri contro i manifestanti e i giornalisti a Kabul non sono i segnali che danno motivo di ottimismo". La comunità internazionale è pronta all'aiuto umanitario dei cittadini afghani, ha proseguito Maas, ma "un tale impegno dipenderà dal comportamento dei talebani".

Ma le valutazioni su cosa sia accettabile e cosa no non sono le stesse per tutti. Per i paesi democratici, la questione delle donne e dei giornalisti picchiati non può passare in secondo piano, almeno nelle dichiarazioni e nelle condanne ufficiali. È di oggi la notizia che nell'Emirato islamico d'Afghanistan alle donne sarà proibito proibito praticare qualsiasi sport che "esponga i loro corpi" o le mostri ai media. Un altro divieto, dopo quelli della musica e delle classi miste, che riporta il paese indietro di vent'anni.