di Matteo Forciniti

A metà degli anni ottanta Leopoldo Faviere, uno dei referenti della collettività italiana in Uruguay, aveva un sogno partito da un’idea semplice: riunire tutte le associazioni italiane di Montevideo in un’unica grande sede come centro nevralgico della vita dei connazionali da adibire a bar, ristorante e sala per eventi. Per realizzare la proposta ogni associazione avrebbe dovuto vendere la propria sede e partecipare nella gestione del nuovo immobile in base alla quota di denaro apportata. “Quel progetto naufragò per l’egoismo di tante persone che adesso dovrebbero sentire vergogna eppure il tempo mi ha dato ragione” sostiene convinto Faviere, ottantenne calabrese ritirato dopo un cospicuo impegno all’interno della collettività con Aiuda (Associazione Italiana in Uruguay di Assistenza), Casa d’Italia e Associazione Calabrese.

Dopo un anno e mezzo di pandemia gli effetti per il mondo italiano sono stati devastanti con la maggior parte delle sedi che continuano ad essere chiuse nonostante il panorama sanitario sia molto più incoraggiante rispetto al passato. In realtà, come è successo in tanti altri ambiti, il coronavirus ha solo accelerato processi che erano già in corso come il caso delle associazioni che soffrono da tempo la mancanza di un ricambio generazionale, linfa vitale per guardare avanti. Salvo rare eccezioni, la collettività in Uruguay è praticamente scomparsa e non ci sono ancora segnali di ripresa.

“Sull’esempio di altre città del Sud America, con una popolazione italiana molto minore rispetto alla nostra, io immaginavo una sede gigante aperta tutti i giorni e piena di attività. Un vero luogo di unione e condivisione per incontrarsi e stare insieme e dove poter diffondere tutto quello che ha a che fare con l’Italia dalla cultura alla gastronomia, dallo sport all’industria. Il potenziale resta ancora oggi straordinario e -soprattutto- andrebbe ad aiutare tutte le associazioni che si trovano in grandissime difficoltà. C’è l’esigenza di unirsi per superare insieme la crisi ed evitare un fallimento che si sta già consumando sotto i nostri occhi”.

Il posto ideale per realizzare questo progetto esiste già ed è la Casa degli Italiani amministrata dall’Aiuda: “Abbiamo la fortuna di poter disporre già di una sede molto grande che si trova anche in una buona zona ma che purtroppo da troppo tempo non sta funzionando come dovrebbe. Le associazioni dovrebbero intervenire direttamente nella gestione della Casa insieme all’Aiuda. Si potrebbero fare tante cose interessanti ma prima bisogna riunire gente disponibile”.

Nato a Praia a Mare (Cosenza) e arrivato in Uruguay nel 1950, Faviere appare pessimista dopo l’esperienza maturata nel tempo ma non perde occasione per ricordare quel sogno, una speranza mai del tutto scomparsa: “Negli anni ci sono state diverse proposte per organizzare qualcosa di importante a livello unitario e mettere così da parte le nostre differenze che sono completamente inutili. Io però ho trovato solo ostacoli, egoismo e avidità. Molti che arrivano ai posti di comando pensano solo a difendere i loro interessi e non lasciano spazio al progresso e all’innovazione. In questa collettività manca un concetto basico che è la fratellanza, dovremmo imparare dagli altri e basta vedere quello che sono riusciti a fare gli spagnoli. Non sono negativo, è la realtà ma la possiamo cambiare”.