di Matteo Forciniti

Ancor prima del 25 aprile e del 2 giugno, per tanti italiani emigrati in Uruguay la vera festa nazionale è stata il 20 settembre. Il riferimento è alla Breccia di Porta Pia del 1870, penultimo capitolo del Risorgimento che portò all’annessione di Roma al Regno d’Italia.

Questa data oggi è stata praticamente dimenticata tanto in Italia come in Uruguay dove, per via della forte influenza della figura di Garibaldi, era stata dichiarata in passato una festività civile come la giornata del libero pensiero. Tradizionalmente, questa giornata viene celebrata dal Circolo Garibaldino di Montevideo che organizza una conferenza di carattere storico e culturale anche se quest’anno dovrebbe essere posticipata a causa dell’emergenza sanitaria. Questo 20 settembre, inoltre, si ricorda il 200esimo anniversario della nascita di Anita Garibaldi, l’avventuriera moglie dell’eroe dei due mondi nata il 30 agosto del 1821 in Brasile prima di seguire il generale nelle battaglie tra il Sud America e l’Italia. 

Anche se oggi sembra scomparsa, la festa del 20 settembre ha avuto un significato speciale nella storia della comunità italiana come viene raccontato nel libro “Fratelli d’Italia” della storica argentina María Luján Leiva: “Gli emigrati italiani consideravano questa festa come la più sentita e popolare, e riuscirono a comunicare questo spirito alla comunità locale. La chiamavano “Festa d’Italia” o “Festa di Garibaldi”, facendo sì che la tradizione popolare unificasse i due nomi amati senza soffermarsi sulla verità storica che non documentava la presenza di Garibaldi a Porta Pia”.

Secondo l’autrice, “la diffusione e l’entità di questa celebrazione rivela un carattere laico dell’immigrazione italiana nel Rio della Plata, così come l’influenza di una leadership liberale nella comunità italiana”. Anarchici, socialisti, repubblicani e garibaldini conferirono a questa festività “un forte contenuto ideologico. Si esprimeva l’orgoglio delle origini, la decisione di una residenza e progetti di cambiamento in una nuova terra”.

Nelle parole di Carlo Novello, giornalista e scrittore di origine calabrese oltre che fondatore del Circolo Garibaldino di Montevideo, troviamo una testimonianza di come vivevano gli italouruguaiani questa celebrazione:  “C’erano tante celebrazioni a Pocitos, una zona modesta della capitale con una fortissima presenza di immigrati italiani poveri. Durante questa giornata si innalzavano le bandiere italiane, non si lavorava e si facevano grandi festeggiamenti. Ognuno apportava ciò che poteva in base alle sue necessità. Si mangiava, si beveva e si cantavano canzoni in ricordo della patria lontana”.

Il 20 settembre però non riguardava solo i connazionali della capitale. Tutt’altro. La sua presenza è stata molto forte soprattutto nell’interno del paese come raccontano le cronache dei giornali locali che custodiscono le associazioni, le quali, continuano ancora oggi a ispirarsi ai valori del 20 settembre come evince da diversi statuti. 

A far dimenticare nel corso degli anni successivi questa festa -continua la professoressa María Luján Leiva- “contribuirono la particolare congiuntura locale, il compromesso politico in Italia che la escludeva come celebrazione ed anche una mutazione profonda della componente umana dell’immigrazione italiana. Non si può, inoltre, non considerare la trasformazione della vita popolare e di quartiere, afflitta dai cambiamenti sociopolitici ed economici del dopo guerra. La celebrazione del 20 settembre era stata, per gli italiani, un modo per inserirsi nella nuova realtà, non accettandola però passivamente, così com’era, ma trasformandola”.