di Maurizio Guandalini

Renzi, prima spacca i 5 Stelle. Ora la Lega. Maledetto quel giorno che Salvini entrò nel governo Draghi. Si è fregato con le sue mani. Entrato nel gruppo di comando. Con la migliore classe dirigente della Lega (il personale è il top della politica a livello nazionale e locale) nella compagine di governo. Poi, invece di concentrarsi sulla sicurezza e immigrazione si è infilato nella storia del green pass e della vaccinazione, roba incomprensibile per i suoi elettori e per gli italiani arcistufi di aspettare i riottosi al vaccino. E allora gli argini non hanno retto.

Oggi la dottrina politica colloca Salvini tra i bolliti. La Lega di lotta e di governo non paga, meno ancora se quest’agitazione compulsiva pare ruzzolare fino alla sconfitta delle prossime elezioni del 3-4 ottobre. Il centrodestra è ridotto a pezzi. E il centro sinistra è chiamato alla vittoria finale, nella quasi totalità dei casi ai ballottaggi.

In sostanza il centrosinistra deve ringraziare quel mattacchione di Matteo Renzi. Letta dovrebbe costruirgli un monumento. Ha spezzettato i 5 stelle, ha fatto esplodere il centrodestra e ha rinfocolato la necessità di costruire un centro di governo con Forza Italia lanciando un Opa sul dna del Draghi politico. Ci ha messo sopra il cappello, in pratica. Mentre l’ex capo della Bce era ed è sempre lì fermo al governo, la Lega teneva il primato a certificare Draghi roba loro salvo inciampare in quell’ostacolo che ha smontato il castello della loro architettura politica futura.

Ora, invece, la competizione è tra le forze politiche italiane in Europa che hanno eletto la von der Leyen. A cesello dei capolavori renziani manca il presidente della Repubblica che non sarà Mattarella bis. Passaggio delicato, questo, che potrà tracciare il futuro delle alleanze politiche e Draghi stesso. Perché quello che si trova in mano Renzi è un cantiere aperto rispetto al quale è difficile capire quello che porterà a casa lui. Ma comunque i numeri che ha oggi in Parlamento li vuole giocare fino alla fine e l’idea di quel centro di governo, da Forza Italia a Calenda che prende parte se non tutto della Lega lasciando Meloni e i grillini (Conte nel frattempo sarà entrato nel Pd) ai margini, è alla portata di mano.

Nel frattempo Salvini dovrà cercare il modo di riaffermare la leadership senza far cadere il governo. Una carta in mano ce l’ha. È quella sempiterna della politica. Accantoni vaccini e green pass e giudichi le scelte che farà Draghi a partire dalle decine di dossier aperti e sui quali serve un taglio. Il premier ha detto che ci saranno scelte impopolari. Salvini ha risposto che Draghi non può essere un Monti qualsiasi. Morale: Draghi da ora sarà costretto a schierarsi. O meglio. Sarà costretto a scendere dal piedistallo, dal trono da Re che dà soldi, con il recovery, e vaccini gratis. Ora i soldi deve iniziare a chiederli e qui arriva il travaglio del governo e il lavoro del centrodestra che Mastro Renzi ha spaccato in tre tronconi. Fuori la Meloni. Forza Italia il portabandiera di Draghi. E in mezzo Salvini con il partito spaccato tra governisti e oppositori a oltranza.

Letta dovrebbe accendere un cero a Renzi. Ha ridato centralità al Pd dopo che Letta aveva buttato lì temi programmatici dell’altro mondo, quasi fosse giunto da Marte quasi ignorando Draghi ritenendolo un fastidioso ostacolo al suo cammino.

Qui però sta ora lo svincolo che Draghi dovrà prendere. Assodato che su molte riforme da fare c’è una filosofia Draghi che sarà difficile da mandar giù, anche per Renzi e Letta, la distribuzione di denaro col recovery prevede l’obbligo di riforme strong della serie, stringi stringi, i debiti si pagano sempre e comunque.

Prendiamo la transizione ecologica. Molti si sono dati da fare in questi giorni a spegnere la correlazione che c’è con l’aumento delle bollette elettriche. Assurdo pensarlo, ancora  più dimostrarlo. Quando nelle settimane trascorse il Ministro della Transizione ecologica ha detto fuori dai denti che non sarà una passeggiata indolore, si tratta ora di capire come la si fa questa transizione. Se con altri tributi come si è fatto fino a ora o come dice Carlin Petrini, un po’ enfaticamente per la verità, “non una quaresima di mortificazione ma vivere un processo di liberazione”.

Lo stesso vale per la casa. Il sociologo Giuseppe De Rita è stato categorico, la casa per gli italiani non si tocca con imposte e tasse. Consigliamo a Draghi di dedicarsi come fece Fanfani alla costruzione di case di edilizia pubblica togliendo la competenza alle regioni per inadempienza, liberando risorse ‘regalando’ la proprietà della casa a chi ci abita dopo oltre quarantanni di meritato servizio e affitti pagati (lo ricordiamo questo è un provvedimento da liberale puro lo fece per primo Margareth Thatcher, un’opera di responsabilizzazione degli inquilini).

Altra grana il fisco. I soldi che ballano sono al lumicino. Quindi grandi riforme per pagare di meno non ci saranno. Se è capace il premier riformi la burocrazia fiscale. In modo radicale. Vale lo stesso ragionamento per il green. Tolti tanti ostacoli si riverseranno a cascata i vantaggi per i contribuenti. Ultimo capitolo la giustizia. Consigliamo al premier la lettura di una recente intervista di Sabino Cassese e capirà che la riforma pensata è una minestra riscaldata. C’è da andare di forte senza timori e paure.

Dalla lettura sintetica di questo percorso viene spontaneo chiedersi se la maggioranza di oggi rimarrà insieme a tutti i costi. Diciamo che rimarrà tale almeno fino all’elezione del Capo dello Stato. La maggioranza attuale, s’intende, perché comunque un governo ci sarà in carica almeno fino al termine della legislatura. Infatti, il collante dello scranno parlamentare è così prorompente che riesce far passare qualsiasi ‘cosa’. Anche Draghi.